Deutsche Bank è la banca sistemica dell’ Unione Europea per eccellenza. Un suo fallimento, o anche un suo salvataggio con soldi pubblici (vietato in Unione Europea), rappresenterebbe un colpo fatale al sistema finanziario europeo e globale. Tutto parte dal 2008, quando vennero salvate numerose banche tedesche dagli effetti della crisi subprime, da West Lb, fino a Ikb, Hsh Nordbank e anche la terza banca del paese, la mitica Dresdner, fatta fondere con Commerzbank per sottrarla al crack. Deutsche Bank non venne salvata in quanto ritenuta non tanto strutturalmente sana, quanto globalmente strategica e con garanzia implicita della Germania, accentrando, di fatto, gran parte del veleno costituito da prestiti inesigibili ancora in circolo nel post subprime, oltre a un enorme rischio controparte che la Banca ha continuato ad assorbire negli anni successivi, vis a vis con il sistema finanziario germanico. Infatti, post 2008 i successivi stress test e i controlli della Banca centrale europea hanno escluso, su esplicita richiesta di Berlino, le piccole e politicizzate banche locali tedesche dalle verifiche (Sparkassen), lasciando un rischio sistemico strisciante in capo a Deutsche Bank a cui tutte le piccole e medie banche tedesche devono di fatto appoggiarsi per il clearing di operazioni globali .
Infatti, nei piani teutonici, Deutsche Bank deve essere la banca dove centralizzare i flussi di cassa derivanti dalle attività internazionali sistemiche della Corporate Germany (anche durante l’espansionismo tedesco del terzo Reich Deutsche Bank rivestiva lo stesso ruolo, ai tempi acquisendo addirittura spazio vitale finanziario – acquisire banche nei territori occupati militarmente – con il fine di garantire la centralizzazione dei flussi finanziari in Germania). Non a caso Deutsche Bank ha progressivamente ridotto la sua attività nel retail per diventare la banca di investimenti tedesca, oggi mortale elemento di debolezza dell’intera Corporate Germany.
Il problema per l’istituto è da una parte che il suo capitale è costituito per poco meno del 50% (circa 32 miliardi di euro) da titoli che nemmeno la Bce è in grado di prezzare: titoli valutati a bilancio ai massimi prezzi di mercato (il dubbio è che si tratti di titoli ex subprime impacchettati in bond strutturati di dubbio valore), dall’altra che l’immenso portafoglio di derivati in pancia a Deutsche Bank, pari a svariate volte il Pil dell’intera eurozona, sia costituito da transazioni con quella Corporate Germany. Proprio quella che sta soffrendo la crisi, soprattutto con le piccole banche non regolate dalla Bce per preciso volere di Berlino, una delle tante deroghe a proprio favore che la Germania si è concessa rispetto al resto dei paesi dell’Unione.
A questo si aggiunga che la Bce, che non prezza il capitale Deutsche Bank costituito da titoli atipici, è la stessa che da una parte non sottopone a controlli le iper politicizzate banche locali tedesche e soprattutto che ne sta causando la morte con i tassi negativi che non permettono agli istituti di credito più piccoli di fare utili. Da qui l’attacco a Mario Draghi, in quanto non tedesco con la colpa di uccidere il benessere germanico. Situazione da cui si può uscire chiedendo al popolo di pagare per il solo fatto di avere soldi in banca, circostanza politicamente inaccettabile per Berlino.
Il vero problema in tutto questo è l’emergere chiaro, lampante e mortale per l‘Unione Europea dei soliti interessi divergenti tra Germania e Francia ed il resto dell’ Unione, chiaramente con interpretazioni sempre a vantaggio dell’asse Parigi-Berlino. E anche il fatto che purtroppo detta asimmetria nella flessibilità delle misure applicate in sede europea – ad esempio permettendo il salvataggio di Deutsche Bank con soldi pubblici mentre ciò è stato precluso a tutti gli altri – sta conducendo al fallimento di interi paesi membri sistemici dell‘eurozona (ad esempio l’Italia). Tale comportamento tedesco in Unione Europea è intollerabile.