Dopo Dugina, Tatarsky. L’omicidio del blogger russo avvenuto il 2 aprile a San Pietroburgo, arriva a distanza di 8 mesi dall’attentato in cui è stata uccisa la figlia del filosofo Alexander Dugin. E colpiscono le similitudini tra i due attacchi. Sullo sfondo l’ombra di servizi segreti esteri che potrebbero essere infiltrati a Mosca e aver avuto un ruolo nei due attentati e non solo. Da sempre, e soprattutto dall’inizio della guerra in Ucraina, uno dei timori di Putin è proprio il livello di infiltrazione dei servizi segreti occidentali all’interno della Federazione russa. In passato, a maggio 2022 (qualche mese dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina), abbiamo affrontato l’argomento e il livello di paranoia dello zar. Dopo tre mesi, il 20 agosto 2022, avviene l’attentato che porta alla morte della figlia di Dugin. Secondo alcune ricostruzioni il vero obiettivo sarebbe stato proprio il filosofo vicino a Putin.
Dar’ja Dugina è morta a causa dell’esplosione di una bomba piazzata nell’auto su cui viaggiava. Per Vladlen Tatarsky (vero nome Maxim Fomin), la sorte è stata simile. Ma nel caso del blogger e corrispondente militare, la bomba era contenuta in una statuetta di gesso (un busto dorato che lo raffigura) che gli è stata consegnata durante un evento all’interno dello Street Food Bar, locale che appartiene al proprietario della Wagner, Yevgeny Prigozhin.
Ma le similitudini tra i due attentati sono anche altre. In entrambi i casi, nell’immediato, l’antiterrorismo russo ha identificato come responsabile una donna. Nel caso di Dugina si sarebbe trattato di Natalya Vovk, cittadina ucraina fuggita in Estonia dopo l’esplosione. Per quanto riguarda Tatarsky, invece, è stata arrestata Daria Trepova, la donna che ha consegnato la statuetta al blogger e presente durante l’esplosione. In entrambi i casi, le presunte responsabili, secondo le autorità russe, sarebbero state al soldo dell’intelligence ucraina, per Mosca vera responsabile degli attentati.
In ogni caso, per le autorità russe anche la morte di Tatarsky è un attacco terroristico. Secondo alcune versioni potrebbe essere frutto della guerra interna che si combatte al Cremlino. Il blogger, vicino al capo della Wagner, ha più volte criticato la linea di Putin in Ucraina, giudicata poco efficace al raggiungimento dell’obiettivo, ossia la conquista totale del Paese. Una posizione piuttosto vicina a quella di Prigozhin, che dall’inizio del conflitto ha conquistato potere e autorevolezza. Ad oggi è a capo di quello che viene considerato il più grande e potente esercito privato in Russia.
In ogni caso, che gli attentati siano opera di Kiev o meno, sembra possibile che le operazioni siano state messe in campo da una ‘mano esterna’. E il Cremlino pare esserne consapevole. Da tempo, infatti, le attività di controllo sulla popolazione e sugli apparati militari e di intelligence si sarebbero intensificate.
É di fine marzo, ad esempio, la notizia secondo la quale l’Fsb, i servizi segreti russi, a breve potranno accedere in via extragiudiziale ai tutti i dati sui passeggeri dei taxi. Le informazioni riguardano la geolocalizzazione e i pagamenti degli utenti, 24 ore su 24. Secondo il capo del Comitato nazionale anticorruzione ed ex ufficiale dell’Fsb, Kirill Kabanov, tali informazioni consentiranno di identificare più efficacemente terroristi ed estremisti. Ma nel mirino dell’Fsb, se la legge entrerà in vigore il 1 settembre come appare possibile, potrebbe finire chiunque sarà oggetto di attenzione da parte dei servizi segreti russi. E questo, per gestire la paranoia sull’infiltrazione di 007 esteri, rappresenta uno strumento utile alla causa.
Ma non solo. Putin ha anche preso di mira i soldati inviati a combattere in Ucraina. Dall’inizio della guerra, i tribunali militari avrebbero messo 247 condanne per abbandono non autorizzato dell’unità, diserzione e mancata esecuzione degli ordini.
A maggio 2022, invece, proprio da questa pagine davamo conto di quello che stava accadendo all’interno del Quinto servizio dell’Fsb, l’unico autorizzato ad avere rapporti con la Cia, e della sorte toccata al colonnello Sergei Beseda, a capo proprio del Quinto servizio, rimosso dall’incarico e finito in carcere in circostanze poco chiare.