Il 2016 è stato, denso di fenomeni tellurici e di continui movimenti magmatici al di sotto della superfice terrestre , e si è chiuso con una pubblicazione su Nature Communications ad opera dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che descrive una certa criticità riscontrata nell’area dei Campi Flegrei. Secondo lo studio, nell’area che comprende i comuni immediatamente confinanti con Napoli si sono registrati, oltre ai classici rigonfiamenti del suolo, anche un innalzamento delle temperature interne e una risalita del magma.
A spiegare la situazione attuale è Giuseppe De Natale, Dirigente di ricerca dell’Ingv di Napoli (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) che monitora quotidianamente l’area flegrea: “Dai dati in nostro possesso e dalle analisi effettuate, non si evince che si stia verificando una risalita di magma e non sono neppure completamente convinto che sia in atto un innalzamento della temperatura in profondità, almeno non dappertutto. Le misure del termometro profondo installato nell’ex Ilva di Bagnoli ci dice in realtà che la temperatura è lievemente diminuita negli ultimi 2-3 anni. I dati evidenziano anche che le variazioni geochimiche non sono compatibili con risalite di magma in serbatori superficiali. Questo però – assicura De Natale – non vuol dire che bisogna minimizzare i fenomeni di bradisisma, ma dobbiamo incrementare le nostre attività di ricerca, rendendo il territorio più sicuro e adatto a sopportare le emergenze”.
L’attività più o meno routinaria che si verifica nel sottosuolo dell’area flegrea non aumenterebbe, però, le percentuali di un risveglio immediato di uno dei vulcani più grandi e più “strani” dal punto di vista della conformazione, come sottolinea lo stesso De Natale: “Episodi di sollevamento del suolo, sismicità e variazioni geochimiche si sono verificati anche in tempi recenti e anche molto più intensi di quelli odierni. Tra il 1982 e il 1984 si sono registrati circa 20mila terremoti con una magnitudo massima di 4, a cui si accompagnarono enormi tassi di sollevamento, dell’ordine di un metro all’anno. Non dobbiamo però pensare che necessariamente prima di un’eruzione si debbano verificare fenomeni di intensità paragonabile ai fenomeni del passato: quanto accaduto in precedenza ha infatti influenzato il sistema, cambiando lo stato di sforzo nelle rocce superficiali. Attualmente, i problemi più importanti da comprendere scientificamente per capire lo stato del vulcano sono la migrazione del magma in strati molto superficiali e l’entità dello stato di tensione delle rocce superficiali, condizione ancora più importante nel determinare condizioni eruttive”.
Sull’eventuale entità dei rischi e sul reale stato di allerta per la popolazione locale, però, De Natale è categorico: “I Campi Flegrei sono l’unico dei tre vulcani napoletani ad essere catalogato da dicembre 2012 con il livello giallo di “attenzione”, e non a quello base di quiescenza. Il monitoraggio più attento è collegabile ad un fenomeno lento ma costante di sollevamento, alle variazioni della composizione delle fumarole e all’intensità dei bradisismi del decennio tra il 1970 e il 1980. Basti pensare che dal 1969 al 1984 la zona del porto di Pozzuoli si è sollevata di tre metri e mezzo. In aree vulcaniche attive, i fenomeni di questo tipo devono essere sempre seguiti con attenzione, visto che indicano una maggiore “dinamica” che può essere correlata a fenomeni magmatici”.
Un dato di fatto è che i Campi Flegrei sono più pericolosi del Vesuvio, anche se secondo Giuseppe De Natale, ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano, i Campi Flegrei, attualmente sono in fase di riposo dopo un’attività eruttiva verificatasi negli ultimi 10mila anni. In questa “speciale classifica”, l’area flegrea “supera” il Vesuvio la cui frequenza eruttiva è molto bassa e si trovano in condizioni di condotto ostruito, ma anche tutti gli altri di questa categoria, come Colli Albani, Ischia, Lipari, Panarea, Pantelleria e Isola Ferdinandea.
È però da sottolineare che l’area, insieme al Vesuvio, è tra quelle meglio monitorate al mondo. In ogni caso è sempre bene incrementare e migliorare il monitoraggio. Uno dei settori meno sviluppati è quello geochimico, settore di cui è stato responsabile uno degli autori del lavoro pubblicato su Nature Communications”.
A preoccupare maggiormente il vulcanologo è il timore, in caso di segnali preoccupanti, di un falso allarme che farebbe scattare l’evacuazione di milioni di persone o ancora peggio, il ritardo dell’evacuazione per diminuire il margine di errore in attesa di segnali più evidenti: “Ad oggi possiamo prevedere soltanto le eruzioni a breve termine – afferma De Natale – ossia quando i segnali sono molto evidenti. Anche in questi casi, però, non è certo che poi l’eruzione avvenga. Se è alta la probabilità di falso allarme, si tenderà necessariamente ad attendere segnali ancora più evidenti, ritardando l’evacuazione”.
I dati in possesso dell’Osservatorio Vesuviano sembrano escludere, almeno per il momento, l’insorgere di gravi problematiche per la popolazione che abita l’area flegrea, ma secondo De Natale è importante anche ricordare le procedure da osservare per garantire la sicurezza: “Esiste un piano d’emergenza in cui è quasi pronto anche il piano di evacuazione in caso di pericolo imminente di eruzione. A quanto ne so, mancano solo i piani specifici di diversi comuni dell’area flegrea. C’è la perimetrazione della zona rossa, ci sono anche i gemellaggi dei vari comuni con le altre regioni d’Italia. Si stanno mettendo a punto gli altri particolari più specifici. Sta ai cittadini informarsi presso i rispettivi comuni”.
Dunque secondo l’Osservatorio Vesuviano, non ci sarebbero quindi rischi reali ed immediati, ma l’attenzione resta alta e ogni mutamento è monitorato e catalogato con perizia da una parte per evitare stati di inutile allarmismo, dall’altro per fornire risposte certe sullo stato attuale dell’area flegrea.
A cura di Carla Schiavo