Il nuovo Fossatum Africae si è ormai spostato nel Sahel, uno spazio nidificato in quello maghrebino. I governi nord africani, infatti, si contendono il ruolo di mediatori regionali e si accreditano per le loro esperienze nella lotta al terrorismo e ai processi di radicalizzazione religiosa. Per la sua posizione geografica strategica di raccordo tra l’Africa subsahariana e il bacino del Mediterraneo, la regione saheliana consente ai paesi maghrebini di espandere la loro influenza interagendo con due organizzazioni regionali rispettivamente sul continente africano, con l’Unione africana, e sul continente europeo, con l’Unione europea.
I settori della migrazione, della mobilità e della sicurezza hanno ulteriormente polarizzato l’attenzione politica negli anni successivi al culmine della crisi migratoria del 2015. Quest’ultima ha accentuato le divergenze sulla gestione del fenomeno e le percezioni dell’opinione pubblica sui migranti registravano perplessità. Secondo le rilevazioni di Eurobarometer, infatti, emergeva nel 2017 che gli europei erano divisi se considerare l’immigrazione una opportunità o un problema. Nello specifico, i cittadini che vedevano l’immigrazione più come un problema che un’opportunità erano il doppio di quelli che la vedono come una opportunità, mentre un terzo del campione intervistato lo vedeva sia come un’opportunità che come un problema.
L’Europa si è resa conto di aver perso sia la presenza economica, sia quella politica a confini del Mediterraneo. In particolare nell’Africa occidentale l’insurrezione islamista nel Sahel minaccia gli Stati della regione e inibisce lo sviluppo regionale in un particolare periodo di transizione demografica che invece avrebbe bisogno di stabilità politica, investimenti economici e miglioramento della governance.
Il conflitto, conseguenza indiretta della guerra civile algerina, ha come attori non statuali dei gruppi salafisti legati ad al-Qaïda o all’Isis che operavano in Algeria e che hanno stabilito le loro basi arretrate nel deserto già dagli anni 2000; gli stessi hanno esteso progressivamente la loro azione nel 2003 in Chad, nel 2005 in Mauritania, nel 2006 in Mali, nel Niger nel 2009, in Burkina nel 2015 per manifestarsi, infine, in Costa d’Avorio nel 2020.
Una prospettiva politica democratica e una economica inclusiva con l’ambizione di rispondere alle sfide poste dall’apertura di una finestra demografica in grado di maturare dividendi adeguati alle aspettative, lasciavano il posto ad un’economia di guerra, cancellando prospettive di crescita e innescando fenomeni migratori difficilmente governabili.
I fondi europei assegnati per progetti di cooperazione e sviluppo hanno, così, accolto l’influenza di questa prioritarizzazione della sicurezza e del fenomeno migratorio e a questi vengono sempre più associati. In particolare, al vertice sulle migrazioni della Valletta nel novembre 2015, alla presenza dei capi di stato e di governo dei paesi dell’Unione europea e dei principali Paesi africani coinvolti nei flussi migratori, veniva presentato il Fondo fiduciario per l’Africa che aveva l’obiettivo di contrastare “le cause profonde dell’immigrazione irregolare e dello sfollamento di persone in Africa promuovendo opportunità economiche e rafforzando la sicurezza”.
L’Italia è impegnata nel Sahel dal 2019, dopo l’appello del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che manifestava preoccupazione per il deterioramento della sicurezza nella regione, e partecipa alla missione bilaterale in Niger, alla missione dell’Onu Minusma, nonché alle missioni dell’UE Eutm Mali, Eucap Sahel Mali e Eucap Sahel Niger. La documentazione prodotta dai Servizi e dagli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati destinata alle esigenze di documentazione interna per l’attività parlamentare testualmente manifesta l’allarme nei seguenti termini: “Le attuali condizioni di sicurezza del Sahel destano preoccupazione, poiché da questa regione originano traffici e flussi migratori illegali, violenza diffusa e terrorismo, con un diretto impatto sulla sicurezza del nostro continente”.
In particolare, l’area centrale del Sahel, e più in particolare la regione Liptako Gourma, che confina con Burkina Faso, Mali e Niger, è afflitta da una crisi complessa alimentata da variazioni climatiche estreme, pressione demografica, assenza di istituzioni e dei servizi essenziali e violenza correlata al crimine organizzato e a gruppi armati.
Le Nazioni Unite riportano per la regione Liptako-Gourma, che nei primi nove mesi del 2020, su 1.200 episodi di violenza accaduti nei Paesi del G5, aumentati dai 960 del 2018, la frequenza e incidenza degli attacchi terroristi è aumentata in maniera drammatica nelle tre regioni confinarie.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni riporta la stima di 5.000 cittadini deceduti nel 2020 per questi attacchi, oltre che un significativo movimento di popolazioni. Nello specifico, al 30 marzo 2021, 1.754.223 individui risultavano sfollati, di cui 1.577.466 sfollati interni (90% della popolazione sfollata) e 176.757 rifugiati (10% della popolazione sfollata). Il 65% della popolazione sfollata (1.141.776 individui) si trovavano in Burkina Faso, mentre il 20 per cento risiedeva in Mali (347.105 individui), 11 per cent in Niger (198.612 individui) e il 4 per cento in Mauritania (66.723 individui).
Tutti i gruppi armati presenti nell’area, compresi i jihadisti, sono coinvolti nel traffico di merci di contrabbando, armi e droga. Queste ultime, segnatamente cocaina, cannabis e tramadol, sono consumate anche dai terroristi, soprattutto in combattimento.
Il 2021 è stato un anno particolarmente funesto per la regione. A gennaio, infatti, in Niger 70 persone sono state uccise nel villaggio di Tchombangou e 30 a Zaroumdareye entrambi vicine alla frontiera del Paese con il Mali mentre il 5 giugno scorso il bilancio delle vittime dell’attentato jihadista à Solhan, nel nord del Burkina Faso, era di 138 persone.
L’Africa occidentale e in particolare il Nord del Mali è sempre più una piattaforma centrale del jihadismo globale, in cui confluiscono elementi regionali e internazionali agevolati dalla proliferazione di nuove moschee e scuole coraniche che dipingono l’Occidente come Satana, promuovono il jihad, la sh’aria e un’interpretazione oscurantista dell’islam come uniche difese al neo-colonialismo occidentale dilagante.
Una transizione demografica particolarmente favorevole ha visto crescere una coorte di giovani con meno di 25 anni che, nel 2019, rappresentava il 62 per cento della popolazione. Purtroppo, il dividendo demografico, in questi Paesi, è inibito dal mancato aumento della produttività della popolazione attiva, (che aumenta il reddito pro capite) pregiudicando risparmi, offerta di lavoro, capitale umano (che fugge all’estero) e crescita economica.
I giovani africani sono facile preda di narco-jihadisti che già si consolidano sommergendo il mercato europeo di narcotici di provenienza latino americana e che dalla loro base operativa, se ben strutturata, inizieranno presto la loro campagna di adesione a questa ideologia oscurantista che è il salafismo jihadista, per colpire i giovani europei, costituendo filiere ben organizzate in grado di manipolare, nei Paesi obiettivo, individui delle nostre banlieu fragilizzati e soggetti al processo di anomia, descritto dal sociologo Émile Durkheim come perdita o cancellazione dei valori e afflitti dal conseguente sentimento associato di alienazione.
L’Isis ritenuto sconfitto conquista l’Africa e punta l’Europa