E’ finita come da copione. Abu Bakr al Baghdadi, autonominato Califfo dello Stato islamico, è rimasto ucciso in un blitz delle forze speciali americane così come fu per il “principe del terrore” Oussama bin Laden il 2 maggio 2011 in Pakistan, nel covo di Abbottabad. Una morte annunciata, appunto. Il leader dell’Isis, braccato dai Navy seals, si sarebbe fatto esplodere in un tunnel con una carica di esplosivo, contenuta nel giubbetto, e munita di un’innesco “a strappo” ben visibile anche nei fotogrammi che lo ritraggono durante la sua ultima apparizione in un video diffuso nello scorso aprile.
L’individuazione
Un lavoro di intelligence durato cinque mesi in collaborazione con la componente curda delle Forze democratiche siriane, capitanata da Mazloum Abdi e dai servizi di informazione turchi del Mit, Milli Istihbarat teskilati. Un’alleanza quantomeno anomala nelle sue componenti, ma salda nel comune obiettivo della localizzazione del Califfo dell’Isis. Un lavoro certosino nel quale si è distinto il contributo fondamentale dei combattenti curdi in relazione alla conoscenza del territorio, quello informativo della componente turca e l’apparato tecnologico statunitense. Le ripetute segnalazioni della presenza di al Baghdadi, dapprima genericamente nella zona del confine siro irakeno, poi a Mosul e successivamente a Deir el Zor, la dicevano lunga sulla capacità del leader dell’Isis di muoversi agevolmente nonostante la caccia all’uomo condotta delle truppe dell’alleanza occidentale, ma anche da forze siriane e irachene, in una sorta di corsa alla cattura del ricercato numero uno al mondo.
Le tracce lasciate da al Baghdadi durante le sue permanenze nei vari covi, non sono però sfuggite all’attenzione degli informatori al servizio delle intelligence impegnate sul terreno. In base alle varie testimonianze raccolte è stato possibile tracciare un itinerario ben definito e la composizione del gruppo mossosi con il Califfo in cerca di una via di fuga. I rapporti stilati dalla Cia hanno raggiunto il tavolo di Donald Trump circa una settimana fa, ottenendo da questi il via libera per l’operazione tesa alla cattura del leader dell’Isis.
L’operazione
Il convoglio con il quale al Baghdadi si stava muovendo nel nord ovest della Siria, era giunto a Barisha, nella provincia di Idlib, solo 48 ore prima. Dopo la certa individuazione della presenza del Califfo in un compound del villaggio, il generale americano John W. Brennan Jr, vice capo del Joint Special Operations Command, ha autorizzato il decollo degli F-15 che hanno provveduto al bombardamento della zona per creare accessi sicuri alla successiva ondata di truppe d’assalto.
Da una base irachena nei pressi di Erbil, sono decollati sia gli F-15 che gli elicotteri multiruolo Blackhawk Choppers e i Chinnoks da trasporto con a bordo le squadre dei Navy seals, tutti riforniti in volo dalle cisterne volanti dell’Usaf durante l’avvicinamento all’obiettivo.
Le squadre d’assalto, i Sea lions, hanno preso terra e provveduto a neutralizzare l’esiguo numero di miliziani rimasti. Mentre al Baghdadi, pare in compagnia di due mogli e almeno un figlio, tentava l’estrema fuga in un cunicolo. Non trovando la via d’uscita al tunnel e vistosi braccato, azionava il giubbetto esplosivo che aveva indosso provocando la detonazione che lo uccideva all’istante insieme ai familiari.
Il destino ha voluto che, secondo fonti americane, il cadavere del Califfo fosse trovato decapitato. Nell’attacco hanno trovato la morte anche Abu Sayed al-Iraqi, Ghazwan al-Rawoui e Abu Mohammad al-Halabi, tutti appartenenti all’entourage di al Baghdadi.
Successivamente all’azione, le truppe statunitensi si sono soffermate sul posto per i rilievi. Durante il controllo a terra, secondo fonti d’Oltreoceano, sarebbe stato rinvenuto ingente materiale informativo relativo alla restaurazione del Califfato e la pianificazione di attentati da parte dell’Isis.
Prima dell’annuncio ufficiale della morte di al Baghdadi con una conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente Usa Donald Trump, ha atteso il risultato del test del Dna effettuato sul cadavere del leader dell’Isis che ha confermato l’identità dei resti rinvenuti.
Una pesante eredità
Poco dopo l’annuncio della positiva conclusione del raid contro al Baghdadi, un’altro blitz è stato condotto nel villaggio di Ain al Bayda, a nord di Aleppo. Questa volta nel mirino delle forze a guida statunitense vi era Abu Hassan al Muhajir, portavoce dello Stato islamico e, per alcuni, candidato a sostituire il defunto Califfo. Ad agire, anche in questo caso, i miliziani delle Forze democratiche siriane che hanno affiancato i reparti americani nella missione conclusasi con la neutralizzazione di uno dei leader dello Stato Islamico.
A questo punto può risultare più che attendibile la nostra anticipazione sulla nomina a capo di quanto resta dell’Isis di Abu Abdullah al Qardash, alias Haji Abdullah, avvenuta nell’agosto scorso per volere di Abu Bakr al Baghdadi. L’agenzia Amaq, in un comunicato, aveva infatti annunciato la nomina di al Qardash, proposta in considerazione delle cattive condizioni di salute del Califfo e della situazione in cui si sarebbero venute a trovare le milizie jihadiste nel caso di una vacanza di comando. Il successore di al Baghdadi non si troverà solo ad ereditare il pesante fardello derivante da un personaggio comunque considerato carismatico, ma anche di un’ideologia, quella jihadista, la cui continuità non potrà essere messa in discussione da alcuno degli eredi dell’organizzazione.
Ex ufficiale dell’esercito iracheno di Saddam Hussein, Abu Abdullah al Qardash, ha scalato la vetta delle gerarchie in seno allo Stato islamico in forza della profonda conoscenza dell’Islam, Corano, Hadith e Sunna, maturata nell’ambito degli studi seguiti al College of Imam Al-Adham Abu Hanifa al Nu’manin Mosul e alla conseguente laurea in scienze islamiche ottenuta. Anche il background militare, come ufficiale dell’esercito, ha facilitato l’accesso ai ranghi più alti dell’Isis, così come la sua detenzione a Camp Bucca con al Baghdadi nel 2004, in forza della quale entrò nelle simpatie dell’ex Califfo.
La jihad continua
Mentre la fondazione al Furqan, una branca mediatica dello Stato islamico, annuncia l’imminenza di un importante messaggio, i seguaci di al Baghdadi hanno inondato i canali Telegram con messaggi di celebrazione del leader dell’Isis e di continuità nel percorso della jihad in suo onore.
L’ex Califfo viene definito un “martire della guerra santa” caduto da eroe, così come fu per l’elogio funebre di Oussama bin Laden.
Come evidenziato in più occasioni su queste pagine, l’eliminazione di un leader non pone fine a un’ideale così radicato come quello jihadista. Non lo è stato per bin Laden e non lo sarà per al Baghdadi. Al Qaeda è sopravvissuta alla morte del suo vertice e così sarà per l’Isis, anche in considerazione della continua gemmazione di gruppi contigui e dell’azione continua del proselitismo finalizzato al reclutamento di nuovi adepti, soprattutto in Occidente.