La separazione di Londra dall’Ue seguirà la strada più o meno tracciata dai Trattati Europei, 2 anni di tempo, con una separazione che potrà comunque essere più o meno consensuale. Non esistono, infatti, specifiche norme per uscire dall’Ue, se non l’articolo 50 dei Trattati Europei (Lisbona). Passato tale periodo tutti i Trattati decadono. In primis la decisione di separarsi va denunciata da parte di Londra. In ogni caso, anche se questo non dovesse accadere, l’Ue potrebbe, motu proprio, riconoscere la formalità dell’evento, attraverso il riconoscimento dei risultati del Brexit. Due anni di tempo, però, contro 40-50 anni di accordi sono pochi. Ecco perché la ritardata notifica potrebbe essere utile ad entrambe le parti nel caso esista una consensualità nella forma di separazione da applicare.
Per il resto va detto che una separazione dall’Ue non è normata in altro modo: siamo in territorio inesplorato. A detta degli esperti – in condizioni normali – comporterebbe un periodo di almeno 5 anni, più probabilmente 6 o 7 anni.
Va considerato, inoltre, che la posizione europea e tedesca – almeno quella tenuta fino a ieri – è stata votata ad una totale intransigenza. Out is out, hanno ripetuto a varie riprese Juncker e Schauble (ricordiamo che quest’ultimo formalmente non rappresenta l’Europa. Non si finisce mai di stigmatizzare a sufficienza gli atteggiamenti troppo sopra le righe del ministro tedesco).
Quello che più è importante sono gli ambiti di scontro nella formalizzazione del Brexit. Prima di tutto l’immigrazione, che dovrebbe fare salvo l’esistente, sebbene questo non sia scontato, soprattutto in tema di welfare, per i soggetti Ue sbarcati Oltremanica da meno di due anni, magari in assenza di una notifica della residenza e di lavoro regolare in terra britannica. Terreno di scontro sarà anche la regolamentazione bancaria, tutti danno per scontata una reazione veemente di Downing Street in caso di un tentativo di relocation delle banche verso l’Europa continentale.
Dobbiamo fare molta attenzione a quello che succederà nei prossimi mesi: ad esempio l’austerità verrà messa in discussione dai Paesi che oggi la subiscono, magari minacciando di aggregarsi a Londra ad esempio via referendum? Oggi esiste l’alternativa. Anzi, in caso di muro contro muro da parte di Bruxelles, Londra potrebbe reagire incentivando direttamente questo trend puntando al cuore degli interessi economici tedeschi. Anche una eventuale minaccia Ue nella rinegoziazione dei Trattati contro gli interessi di Londra rischia di essere un’arma spuntata: cosa succederebbe se la reazione britannica fosse di riattivare entro due anni il segreto bancario come era prima del 1997, decisione in chiaro contrasto con gli indirizzi Ue?
Le conseguenze del Brexit dunque, di fatto non normate nell’operatività da seguire, saranno soprattutto politico/strategiche, dipendendo dagli atteggiamenti che verranno tenuti dalle parti. Inevitabilmente la Germania, per tenere in piedi quello che resta dell’Europa, dovrà fare in modo di aggregare attorno a se i principali paesi. In questo contesto l’Italia gioca un ruolo fondamentale in quanto sempre più a malpartito con l’austerità imposta da Berlino: se gli sforzi imposti da Bruxelles per adeguarsi ai rigidissimi parametri saranno troppo onerosi, esiste il serio rischio che Roma decida di seguire la strada dell’abbandono, in tale caso anche le trattative per la rinegoziazione dei Trattati tra Ue e Inghilterra subiranno pesanti conseguenze.
Brexit quindi, mette a nudo la contrapposizione di interessi tra Berlino che preme per lo status quo austero ed il resto d’Europa che vuole cambiare, la rinegoziazione formale dei trattati resta un dettaglio.