Ho letto con interesse i commenti dei media mainstream sugli effetti per valute, azioni ed obbligazioni in funzione della presidenza dei due candidatati. E questo dimenticando il fatto che lo scrivente ritenga come oggi un vero cambiamento sia necessario per gli Usa e per il mondo, ovvero rompendo la continuità fatta di crescita del debito e nel caso Usa di sbilancio della bilancia commerciale, oltre che di QE ormai inutili se non ad arricchire una percentuale risibile della popolazione terrestre. Da questa semplice considerazione deriva l’annichilimento della classe media, non solo americana ma globale, ricordando che tutte le volte che questo è accaduto inevitabilmente sono scoppiate guerre devastanti.
Obama, ad esempio, ha circa raddoppiato il debito federale portandolo all’astronomica cifra di 14’000 mld di dollari. E’ solo questione di tempo prima che al primo presidente nero degli States venga appioppato qualche epiteto che lo leghi ad imperitura memoria al declino americano là da venire. Appunto, tutto questo è insostenibile e bisogna partire da questo assioma per capire le mosse del prossimo inquilino della Casa Bianca.
Prima di tutto, chiaramente, un futuro inquilino Dem non avrebbe alcun interesse a far emergere gli errori fatti dal predecessore di partito. Ossia per Hillary Clinton sarebbe molto più difficile correggere lo storture economico-finanziarie ereditate da Obama.
Tornando ai tre temi, valute, bond ed azioni (sebbene sia sbagliato ridurre a tali minimi termini una strategia economica presidenziale), ipotizzando che comunque qualche correttivo allo status quo ci debba essere, possiamo dire che oggi gli Usa soffrono dei classici mali del sistema capitalistico fatto di crescita che non trova ulteriori sbocchi, accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi e mancato controllo della disoccupazione. Da qui la necessità di spingere verso nuove economie (green economy ad esempio) che per induzione economica si spera siano un surrogato pacifico della distruzione creativa di schumptereiana memoria. Il problema è che se tale nuova economia non sarà rentabile, la ricetta porterà inevitabilmente al disastro (ad esempio qualcuno dovrebbe chiedersi quali saranno gli effetti di un petrolio eccessivamente basso, creeranno valore con la nuova economia green o prima di raggiungere l’obiettivo distruggeranno l’enorme substrato economico costituito dalle energie tradizionali?). Ecco, in tale termini Trump ha i piedi per terra, cambiamenti progressivi senza distruggere il passato, la sua è una visione non ideologica ma pragmatica. Al contrario dei Dem, che tradizionalmente sono perfettamente ideologici anche e soprattutto in politica estera, forse perchè il ritorno economico delle loro strategie semplicemente non esiste. Dunque, petrolio favorito con Trump, viceversa con Hillary.
In tema di valute con Hillary cambierebbe poco o nulla, leggasi altri QE nel 2017 e dollaro poco più basso di dove è oggi, ma pur sempre in discesa. Trump ha invece promesso una ripresa economica anche e soprattutto manifatturiera e questo sarà il suo totem presidenziale, Make America Great Again, almeno a livello di percezione intra-Usa. Per fare questo la strada maestra sarà la svalutazione del dollaro con annessa inflazione a patto che non sia eccessiva. La ricetta sarà perfettamente la stessa degli UK post Brexit, non sterilizzare l’inflazione a sufficienza ossia evitare un eccessivo aumento dei tassi. Chi scrive è convinto che Trump cercherà un nuovo accordo del Plaza, hotel che per altro gli appartiene, ossia chiedere/imporre ai partner mondiali di fare la stessa cosa che fece Reagan. Et voilà, discesa del dollaro fino a dove era solo due anni fa (attorno ad 1.40 ed oltre) con conseguente rivitalizzazione dell’economia Usa.
Sapete quale è il problema? Che la svalutazione del verdone andrebbe a vantaggio di Usa, Cina, Russia ed emergenti, ma sarebbe letteralmente letale per l’Unione Europea nel suo complesso e soprattutto per la Germania che ormai da un lustro persegue policies atte a svincolarsi dal dominus americano. Con questa premessa si capisce il perchè di tanto livore da parte Europea nei confronti del tycoon Usa. Leggasi, fine della moneta unica ossia implosione economica della Germania.
Da questo deriverebbero le conseguenze per le azioni ed i bond: le azioni mondiali comunque scenderebbero sia con Clinton che con Trump, con il secondo sarebbe una discesa quasi immediata, con il primo più diluita nel 2017. Va infatti ricordato come le azioni siano drogate da stimoli dell’amministrazione Obama atti a sostenere le borse per tirare la volata ad un altro candidato Dem, stessa cosa che fece – non riuscendoci – Bill Clinton con il candidato Dem Al Gore (peré gettando le basi pero dello scoppio della bolla dot.com l’anno successivo, anche quest’anno non farà eccezione).
Le obbligazioni in termini di rendimenti reali – ossia al netto dell’inflazione – scenderanno con entrambi i candidati, in termini nominali staranno più o meno dove sono ma con tanta volatilità iniziale. Poi, in base agli sviluppi inflattivi delle policies adottate i prezzi necessariamente si sgonfieranno ma non necessariamente crolleranno: se ad esempio non si volesse combattere l’inflazione con tassi maggiori i corsi resterebbero relativamente alti ma il valore intrinseco verrebbe “mangiato” per via inflattiva.
E l‘Italia? E’ destinata a passare un brutto lustro con entrambi i candidati. Che l’euro si rompa (con Trump) o che continui ad imputrescire per 10 anni (con Clinton) il futuro sarà di tasse alte, crescita bassa e BTP in sofferenza. Le azioni, soprattutto delle banche, saranno regolarmente colpite dalla speculazione mentre le aziende sistemiche, su tutte Enel, Eni, Finmeccanica verranno messe sotto assedio dagli stranieri per comprarsele a basso prezzo. In tale contesto bisognerà vedere se l’Italia troverà uno statista – e non ventriloquo politico – che sappia fare veramente l’interesse del Paese, garantendo ad esempio l’italianità delle buone aziende nazionali che che il mondo ancora ci invidia. E che infatti ci vorrebbe sfilare.