L’instaurazione ed il mantenimento della pace sono l’obiettivo prioritario e permanente di tutte le democrazie occidentali che, contando su un solido sistema sociale e non sull’uomo politico, non sono mai state abbattute dal terrorismo, sebbene quest’ultimo in diversi casi, abbia contribuito a modificarne il corso della storia.
Si pensi all’ottenimento del panico indiscriminato provocato con un minimo sforzo e si rifletta sulla creazione di un clima “emulativo – bellicistico” come quello che l’odierno panorama ci offre. I burattinai dei mujaheddin hanno pianificato ed azionato un meccanismo veramente diabolico: l‘Occidente che trema ad ogni scoppio di pneumatico.
Incapace di avere una reazione razionale e di pensiero ragionato, l’individuo antepone la propria incolumità, al momento indenne, ad un fattore di paura collettiva che coinvolge non più solo il singolo cittadino, ma anche e, soprattutto, gli apparati statali, quindi la sicurezza nazionale, ed ancor più quella mondiale.
Ma ciò che per lo spettatore medio è fattore prioritario è la salvaguardia della propria incolumità, la paura per la sua salute, per i suoi cari ed i suoi averi; la rappresentazione dell’altrui morte rispecchia la paura di perdere la propria vita allo stesso modo di come viene mostrato.
La riflessione che si impone a livello psicologico è, anzitutto, una sorta di gratificazione della propria carica violenta, rappresentata dal soffermarsi su immagini violente, assistendo ad un film dell’orrore o splatter, o indugiando di fronte a qualsiasi incidente o fatto efferato. In seconda istanza sopravviene il senso di paura, insicurezza e panico indiscriminato. Ed è proprio qui che si rivolge l’attenzione del “terrorista“, termine non casuale da cui deriva la volontà di seminare il terrore, per l’appunto.
Per ottenere il coinvolgimento del maggior numero di persone possibili il terrorismo ha, quindi, necessità di utilizzare i moderni mezzi di comunicazione di massa per vedere allargato il proprio “bacino di utenza” sia in chiave propagandistica che allo scopo di incutere paura indiscriminata.
L’assistere impotenti alla distruzione di edifici abitati, a sgozzamenti, o stragi indiscriminate, moltiplicano in modo esponenziale l’impatto psicologico sulla popolazione. Il dramma diventa indiscriminato e scuote il pubblico nelle certezze su cui fonda il proprio vivere quotidiano.
Nel caso specifico degli islamisti il meccanismo si impone proprio sia per la debolezza mostrata dagli occidentali, per esempio, nel vedere in loop immagini cruente sia, dall’altra parte, nel trovarsi di fronte ad un credo religioso utilizzato come giustificazione di ogni azione perpetrata in suo nome. In questo simbolo le “menti criminali” di credo islamico sono riuscite a compattare parte dei credenti musulmani che, sebbene non partecipino direttamente ad azioni violente, creano una sorta di piattaforma di sostegno ai mujaheddin, permettendo loro di trovare zone franche ed appoggi logistici anche da parte di soggetti non necessariamente indottrinati all’uso della violenza.
Con l’utilizzo dell’apparato massmediatico, il terrorismo islamista ha cercato e trovato il meccanismo ottimale per coinvolgere i musulmani stessi, e gli immigrati in particolare, nella richiesta estorsiva di vedere accolte dall’occidente le loro richieste di rivendicazione di diritti, al momento non riconosciuti, dal mondo moderno, ed additabili, storicamente, alle sconfitte soprattutto militari degli arabo-musulmani dai tempi delle crociate ad oggi.
L’islam radicale combatte dal basso, senza colpi di stato o stravolgimenti di potere, in questo ottenendo ampi consensi negli strati più bassi della popolazione che, nei paesi dell’area maghrebina, ne costituiscono la più alta percentuale.
L’Isis altro non ha fatto che ricalcare le orme degli algerini del Gruppo islamico armato degli anni ’90, unendole all’esperienza degli afghani e degli irakeni.
Il Califfato si propone, infatti, come il mezzo per cancellare i confini imposti dal colonialismo europeo e creare un nuovo mondo panislamico, inteso come la prosecuzione delle volontà del Profeta stesso. L’imposizione di una forma estremizzata della legge islamica (Sha’aria) è necessaria ai loro occhi così come la violenza si giustifica con l’obbligo morale di abbattere gli Stati arabi moderni.
Alla base del reclutamento, vi è il progetto e l’attuazione di attentati che abbiano come obiettivi la spettacolarità, la presa di ostaggi per avvalersi di riscatti e l’impoverimento dei paesi colpiti. Su queste tre caratteristiche l’Isis ottiene come risultato tangibile la ribalta massmediatica che, a sua volta, porta alla vera e propria adesione da parte di nuove leve, quindi alla volontà di gesta emulative da parte dei cosiddetti lupi solitari, quindi ad una continuità nell’azione anti-occidentale ed all’allargamento dei confini del Califfato.
L’aberrazione che si percepisce soprattutto in Europa, è che l’Isi ha saputo infondere anche nei giovani delle banlieue la coniugazione dei precetti islamici con la volontà emulatrice ed il compimento di attacchi, anche sotto l’effetto di droghe, che infondano il coraggio di morire da shahid (martiri).
I metodi tradizionali delle polizie occidentali trovano ostacolo verso il fenomeno del terrorismo islamico non solo per l’invisibilità del nemico, ma anche per la mancanza in loro della paura della morte o della detenzione che possa funzionare come un deterrente razionale. Tuttavia non solo gli stati democratici sono vulnerabili ai metodi dei terroristi islamici, anche le dittature definibili come “stati di polizia” hanno dovuto fare i conti con analogo fenomeno. Quando il terrorismo fallisce ciò accade più spesso non per l’efficacia preventiva della polizia bensì per errori interni alla organizzazione terrorista oppure per impreviste fughe di notizie o tradimenti. Le forze di sicurezza per avere successo contro il terrorismo dovrebbero scendere anche loro sul piano della quasi illegalità, attraverso operazioni non convenzionali, definibili come operazioni che possono riconoscersi solo nelle metodologie della “guerra non ortodossa”.
Il terrorismo ha come obiettivo finale di indurre nell’avversario emozioni negative come la paura, l’angoscia, l’inibizione delle attività e la riduzione dei comportamenti sociali. E’ un modo quindi per condizionare, controllare, deviare il comportamento altrui attraverso la suggestione emotiva della paura. Da sempre la violenza e la paura ad essa connessa, sia espresse con attentati che minacciate dalla propaganda, tecnica tanto cara al Daesh, sono usate come tecniche di pressione sulla popolazione avversaria.
Gli atti di terrorismo coinvolgono emotivamente tutta la popolazione, non solo obiettivi come gli uomini di governo, i politici e le forze armate. Il terrorista con l’uccisione di vittime innocenti ed inconsapevoli, ottiene, quindi, una sorta di condizionamento inibitorio di tutta la popolazione avversaria.