C1 Ariete: componente pesante dell’esercito. Si continua a sbagliare.
In questi giorni, le testate di settore ma anche quelle non specializzate, diffondono la notizia della firma del contratto finalizzato all’aggiornamento di 90 carri armati C1 Ariete (che saranno ridenominati C2). La spesa prevista sarà pari a 848,8 milioni di euro con consegna degli ultimi carri nel 2029.
Inizialmente il programma, gestito da Leonardo e dal CIO (Consorzio Iveco Oto-Melara), prevedeva l’aggiornamento di 125 carri, compresi i due prototipi, per una spesa complessiva che superava il miliardo di euro. Tale intervento doveva essere finalizzato a ripristinare le capacità operative degli attuali tre reggimenti carri esistenti, ovvero il 32° e 132° della Brigata Corazzata Ariete e il 4° della Brigata Pesante Garibaldi. Allo stato attuale i suddetti reparti possono al massimo schierare tre compagnie (circa una trentina di Ariete). Da quanto trapelato, gli interventi, riguarderanno la mobilità, la potenza di fuoco e, in misura minore (!), la protezione.
Sempre nelle scorse settimane, il ministero della Difesa, ha comunicato l’intenzione di acquisire dalla Germania circa 130 carri armati Leopard 2A8 e che una brigata dell’Esercito – probabilmente la Sassari – sarà riconvertita in unità pesante.
Innanzitutto analizziamo gli interventi di aggiornamento che porteranno il C1 allo standard C2. L’attuale propulsore, un turbo diesel V12 che eroga 1.265 cv di potenza, verrà implementato con un sensibile aumento della coppia e portato a una potenza di 1.500 cv. Per meglio gestire l’aumento delle prestazioni verrà effettuato un adeguamento dell’apparato cambio-trasmissione nonché l’aggiornamento del treno di rotolamento.
Diciamo che fino a qui i miglioramenti sarebbero opportuni: una maggiore potenza del motore permetterebbe l’installazione di protezioni passive, con conseguente aumento della capacità di sopravvivenza del carro. Tuttavia, nonostante il miglioramento delle prestazioni, il programma di aggiornamento consegnerà ai reggimenti corazzati un carro obsoleto, non in grado di affrontare teatri operativi come quello ucraino.
Tallone d’Achille del C1 Ariete è la protezione. Nonostante si tratti un carro di terza generazione la protezione composita (in grado i “impastare” i penetratori a energia cinetica) riveste solamente la parte frontale-superiore dello scafo e della torretta, per il resto del carro la protezione è costituita da acciaio omogeneo con spessore non superiore ai 50 mm. In pratica potrebbe essere distrutto da un lanciarazzi RPG-7 o da proiettili perforanti calibro 30×173 mm. A quanto ci risulta, il programma d’aggiornamento, avrà un impatto minimo sulla protezione passiva (magari si installeranno delle “gonne” copricingoli in composito) e nessuno su quella attiva. Infatti non risulta l’installazione di un sistema APS (Active Protection System) tipo Trophy.
Veniamo all’armamento principale, un cannone ad anima liscia Rheinmetall da 120/44 mm, prodotto su licenza dalla Oto-Melara: tale pezzo rimarrà anche sul C2.
Il munizionamento ad energia cinetica in dotazione alla componente carri, gli APFSDS DM33, ha scarse capacità di penetrazione nei confronti delle corazzature degli MBT russi più aggiornati, quali i T-72B3M, T-80BVM e T-90M. Mentre per poter utilizzare il nuovo munizionamento della Rheinmetall, come i colpi DM53A1 e DM63, molto più efficace, occorrerebbe installare il pezzo L55 da 120/ 55 mm.
Insomma, l’aggiornamento degli Ariete sembra più un regalo all’industria nazionale piuttosto che una doverosa rivitalizzazione della Componente Corazzata dell’Esercito Italiano.
È doveroso sottolineare come lo Stato Maggiore dell’Esercito, negli ultimi venticinque anni, abbia sistematicamente smantellato la componente pesante dell’Esercito, in favore dei reparti di cavalleria equipaggiati con ruotati (forniti ovviamente dall’industria nazionale). Il fatto di aver trasferito la specialità Carristi, dalla Fanteria, nell’ambito dell’Arma di Cavalleria ha sicuramente costituito un vulnus. L’Esercito dispone di nove reggimenti di Cavalleria, il cui compito, nella Forza Armata, è quello di fornire assetti esploranti. La domanda che sorge spontanea: in favore di chi? Dal momento che la capacità di manovra con i mezzi corazzati è stata quasi annichilita. Si è pensato per molto tempo, in ambito Esercito, che i ruotati potessero svolgere lo stesso compito dei cingolati: nulla di pù sbagliato. I cingolati svolgono una precisa funzione in un combattimento manovrato che, allo stato attuale, non può essere rimpiazzata da alcun veicolo su ruote, per quanto prestante esso sia.
Prendiamo ad esempio le blindo Centauro. Questi mezzi sono coevi del carro Ariete (metà degli anni ’80 dello scorso secolo) ma sono entrati in servizio alcuni anni prima, nel 1992.
Pur disponendo, allora, di una buona potenza di fuoco (cannone da 105/52 mm) hanno una protezione limitata e scarse capacità di movimento su terreni morbidi (fangosi, innevati, etc.), causa anche il montaggio degli pneumatici R20 da 14”. Tuttavia costituivano degli ottimi mezzi nelle missioni di pace, dove più che altro si doveva “portare un grosso bastone e parlare gentilmente”, parafrasando il presidente Teddy Roosevelt. In pratica le blindo Centauro erano solo forma e ben poca sostanza infatti, negli scontri sostenuti dai militari italiani, dalla Somalia all’Afghanistan, passando per l’Iraq, sono sempre state tenute da parte.
Un paio di mesi fa, è stato postato un tweet dove veniva riportato l’invio delle Centauro ai combattenti ucraini (ovviamente una notizia falsa). Sotto il post c’erano centinaia di commenti entusiastici dove venivano esaltate le capacità di cacciacarri delle blindo italiane.
Tralasciando la blindatura, perforabile dalle mitragliatrici pesanti russe calibro 12,7×108 mm, il cannone Oto-Melara da 105/52 mm ha una pressione interna d’esercizio di soli 4.400 bar (proietto DM33), non in grado di perforare la protezione frontale di un T-72B3M. In sintesi, la Centauro in Ucraina sarebbe servita solo come bersaglio per le bocche da fuoco russe. La nuova blindo, denominata Centauro II e in corso d’acquisizione da parte dell’Esercito in 120 esemplari, non promette certo di fornire prestazioni migliori (nonostante una spesa di circa 2 miliardi di euro).
Tornando alla componente carri, l’acquisto di un nuovo carro (come il Leopard 2A8) costituisce solo la punta dell’iceberg. In questi anni è venuto meno il supporto logistico, fondamentale per mantenere in efficienza i mezzi. Si sono smantellate le officine reggimentali, le quali erano in grado di riparare danni anche di una certa entità. Il compito di riparare i carri passava direttamente all’industria, con conseguente aumento dei costi e dei tempi. Per ovviare a tale procedura e poter disporre velocemente dei ricambi, i comandanti, si sono visti costretti alla “cannibalizzazione” di una parte dei mezzi in favore di altri. Ciò ha inevitabilmente portato a una drastica riduzione degli Ariete operativi.
In conclusione. L’aggiornamento degli Ariete è uno spreco di fondi in quanto, a programma concluso, si avrà comunque un carro obsoleto e del tutto inefficace.
Acquistare i nuovi Leopard comporterà comunque due differenti linee logistiche, difficili da sostenere (il carro tedesco è dotato di apparecchiature estremamente sofisticate e dall’utilizzo complesso) e assai dispendiose. Il rischio è che si ripeta la condizione di non essere in grado di provvedere alla corretta manutenzione dei carri, con conseguente decadimento delle capacità operative. Poi mancano le dottrine, ormai dimenticate dai nuovi ufficiali carristi, convertiti a fare da supporto alla fanteria; si sono completamente abbandonate le capacità di manovrare almeno a livello compagnia (13 carri), predilegendo i battle group.
La guerra in Ucraina sta mostrando come una componente corazzata efficace ed efficiente sia imprenscindibile se si vogliono conquistare e mantenere parti del fronte. L’Esercito Italiano l’ha per troppo tempo ignorata, ora la strada che bisognerà percorrere, per tornare a un minimo di efficienza, sarà lunga e dispendiosa.