Da Pogba a Insigne, sino ai calciatori del Marsala che militano in eccellenza. La febbre del calcio italiano trasuda violenza e colpisce i calciatori di tutte le categorie. Dalla serie A a quelle minori: il bilancio è preoccupante. Sono raddoppiati gli episodi di intimidazione, minaccia e violenza nei confronti dei giocatori durante la scorsa stagione calcistica 2015-2016: 117 episodi contro i 52 di quella precedente. Il poco incoraggiante primato spetta al Sud con il 52% dei casi. Più della metà delle azioni violente ha coinvolto calciatori professionisti tra razzismo, agguati e pressioni psicologiche fuori gli stadi (61%) e dentro (39%). La regione con più divieti nell’accedere alle manifestazioni sportive (Daspo) è il Lazio con 276 interdizioni.
Dati preoccupanti che emergono dal terzo rapporto “Calciatori sotto tiro”, a cura dell’Osservatorio dell’Associazione italiana calciatori (Aic), presentato al Viminale nell’ambito dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Un documento stilato grazie alle informazioni raccolte attraverso la consultazione quotidiana dei media e alle segnalazioni dei vari referenti territoriali.
La fotografia del calcio italiano restituisce ancora una volta il clima di pressione che ruota attorno ai calciatori, toccando soglie da allarme rosso. Nel report si registrano aumenti sia per quanto riguarda le “azioni” di violenza (+125%), che per le situazioni (+261%), ovvero i singoli eventi verificatesi in contesti specifici. Bombe carta, tirapugni e mazze da baseball sono gli strumenti più utilizzati dagli ultras nel perpetrare le violenze. Aggressioni fisiche nel 23% dei casi, ma sono in aumento anche gli episodi legati al razzismo (21%), come quello avvenuto durante la partita Roma-Juventus del 30 agosto 2015, quando dalla curva sud dell’Olimpico partirono insulti sul colore della pelle dell’ex centrocampista della Juve, Paul Pogba.
Nella maggior parte delle situazioni sono gli stessi tifosi della propria squadra (55% dei casi) a commettere le violenze per lo più a causa di una sconfitta in una partita importante, o di una serie negativa di incontri perché “nel mondo del calcio c’è l’abitudine a rendere normale quello che non lo è”, spiega Damiano Tommasi, presidente dell’Aic. “A livello mediatico il presentare la contestazione come inevitabile o addirittura civile, se non si verifica alcun scontro fisico, è sintomo di una lenta deriva in Italia – continua l’ex centrocampista della Roma – c’è poi un problema culturale riguardante anche la nostra categoria che rischia di abituarsi alla violenze come effetto collaterale della professione”. Motivo, secondo Tommasi, per cui molti calciatori preferiscono trasferirsi all’estero in ambienti con meno pressioni esercitate dalle tifoserie. Atteggiamenti e comportamenti incivili che in Italia si verificano anche nei campionati giovanili, spesso a uso e consumo degli stessi genitori dei ragazzi in campo, dove invece dovrebbe formarsi l’educazione dei più piccoli ai valori sani dello sport.
Storie grandi e piccole che si ripetono alle volte sotto i riflettori, come nel caso dell’attaccante del Napoli, Lorenzo Insigne, derubato al semaforo insieme alla moglie nel centralissimo e benestante quartiere Vomero della città partenopea. O ancora la paura nei volti dei calciatori del Marsala, quando hanno visto irrompere durante il loro ritiro in albergo un gruppo di 8 teppisti che prima ha devastato arredi, tavolini e sedie e successivamente percosso i giocatori. Per simili episodi alcune società hanno deciso di trasferire i loro ritiri a centinaia di chilometri dalla città di residenza.
Nell’indagine commissionata dall’Aic manca ancora tutta la parte che riguarda il non denunciato, ovvero quel sottosuolo di violenze in “nero”, lontano dalle luci dei riflettori, che non è stato raccontato dagli organi di informazione o che non trapela dagli ambienti sportivi. Nel report non sono stati segnalati, ad esempio, casi di violenza dovuti all’omosessualità dei calciatori, ma come spiegato dallo stesso Tommasi “il tema rimane ed è oggetto di discriminazione non solo all’interno degli stadi”.
Nuovi scenari. La finestra sulle violenze nel mondo del pallone ha dimensioni ormai internazionali che a volte sfociano nel terrorismo. É ancora negli occhi di tutti la notte degli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015, quando un uomo si fece saltare in aria all’esterno dello Stade de France, dove era in corso l’amichevole tra Francia e Germania. Gli spettatori si rifugiarono impauriti alla fine della partita all’interno del rettangolo di gioco, in attesa di poter uscire in sicurezza dall’impianto sportivo. Il 24 marzo 2016 in Iraq un kamikaze si è fatto esplodere durante la premiazione di un torneo di calcio giovanile, provocando almeno 29 morti e oltre 60 feriti. Molte delle vittime erano calciatori. Rischi per la sicurezza che non hanno portato a giocare lo scorso europeo di calcio in Francia a “porte chiuse” ma ogni partita è stata sorvegliata da 900 unità, tra agenti di polizia e personale specializzato, per permettere al pubblico di assistere allo spettacolo. Il calcio è ormai sempre più nel mirino di chi voglia creare disordine e violenza.