I militari sono uguali ai civili? La vita umana è un valore universalmente riconosciuto. O almeno questo ci hanno insegnato. Quindi, la vita di un bianco dovrebbe avere lo stesso valore di quella di un nero (non ci inchiniamo davanti al politicamente corretto che impone sinonimi tipo “di colore” e via dicendo, che sono il primo tassello del razzismo ideologico portato avanti dai contestatori di professione. Il bianco è bianco e il nero è nero. Che c’è di razzista in questo?). Così come la vita di un bambino siriano dovrebbe avere lo stesso valore di quella di un bambino italiano. E per lo stesso principio la vita dei due marò dovrebbe avere lo stesso valore di quella dei due pescatori indiani. E invece no, non è così. Perchè nel corso di questi anni, soprattutto negli ultimi giorni, qualcuno ha scelto di dare un valore diverso a queste vite, che per un destino sventurato si sono incrociate quattro anni or sono.
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono entrambi finalmente in Italia. E ci auguriamo che restino nel loro Paese. Qualcuno, però, (tra quelli che spingono il ragionamento pseudo filosofico, democratico e laico oltre i confini della razionalità, solo per essere Bastian contrari) è quasi indispettito da questo rientro. Meglio lasciarli nel Paese che prevede la pena di morte. Meglio esporli al rischio di una sentenza di condanna che potrebbe finire con la pena capitale. Meglio, certo, perchè in fondo i marò chi sono? Sono dei “semplici” servitori dello Stato. Quello Stato a cui i liberi pensatori da tastiera chiedono sicurezza e giustizia. E allora, in questi giorni, si è anche discusso sull’opportunità di definirli eroi o reduci di guerra. Come se il loro destino avesse bisogno di essere incasellato in una categoria precisa. Vorremmo chiedere a questa gente se, al posto di Girone e Latorre, si fossero trovati i loro padri, figli, amici, fratelli. Come avrebbero reagito? Che casella avrebbero scelto per definirli? Chissà se avrebbero disquisito ancora sul termine da usare per due uomini che hanno la sola colpa di aver obbedito ad un ordine.