Fredde, isolate, ormai cadenti dopo sette anni. Sono così le soluzioni abitative, perchè non possiamo chiamarle case, degli aquilani che sono rimasti, quelli che resistono in una città terremotata. Nel centro storico ancora svettano le gru, ma il vero problema sono le frazioni, dove abitavano realmente la maggior parte delle persone. Nel 2009 agli oltre 80mila sfollati è stata data la possibilità di scegliere tra recarsi in albergo sulla costa abruzzese, lontano dalle proprie radici e restare o in un progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) ovvero dei palazzoni tutti uguali che affacciano sulla tangenziale, o in un M.A.P. (Modulo Abitativo Provvisorio), prebbricati di legno disposti in alcune delle frazioni. Qualcuno è stato costretto al fai da te e ha dovuto inventarsi soluzioni: roulotte, bunker antisismici, garage. Siamo tornati lì, ne L’Aquila dimenticata, e l’allarme è per il degrado e l’abbandono in cui si trovano questi posti, che dovevano essere provvisori. Dopo la costruzione veloce e superficiale del 2009 per evitare di lasciare le persone nelle tende al freddo dell’inverno, oggi sono non-luoghi fatiscenti.
Come vivono le persone a L’Aquila? “I primi due anni, io e mia figlia abbiamo vissuto al buio, perchè questo garage non aveva finestre- ci racconta Manuela, attrice a cui il terremoto ha spazzato via il teatro e la casa- entravamo dalla porta basculante prima usata per le macchine. È stata dura quando ancora non avevamo la stufa a legna, qui è freddissimo l’inverno e questo posto è un terrapieno, appena pioveva la pioggia e l’umido della terra si infilavano tra le pareti. Ma non avevamo altra possibilità”. Il garage di Manuela è a Monticchio, una dei quartieri periferici a un quarto d’ora da L’Aquila centro e lei è una di quelle persone che davvero non ci hanno guadagnato dal terremoto: nel momento delle certificazioni e delle verifiche di agibilità è stata obbligata a firmare alla rinuncia delle New town e dei Map, “Mi hanno intimidita, dicendomi che avrei tolto la casa ad altri più bisognosi e che rischiavo guai con la casa A”. “A” nella scala delle classi di vulnerabilità disposta dalla Protezione Civile significa agibile, “B” temporaneamente inagibile, “C” parzialmente inagibile, “D” da rivedere con approfondimento, “E” da abbattere. Ovviamente, più la tua casa risultava vulnerabile, più alto era l’indennizzo che ricevevi per ripararla o un incentivo a prendere un MAP o un progetto CASE. Ci facciamo portare da Manuela davanti alla sua ex casa e ci rendiamo immediatamente conto che si trova in un agglomerato di edifici crollati e classificati “E”, l’accesso è pericolosissimo.
Nelle New Town le dipendenze sono in crescita. Desolazione, degrado. C’è un’eco di solitudine in quegli edifici a più piani dove in realtà sono stipate migliaia di persone. Un anno dopo il terremoto, risultavano 14.462 aquilani alloggiati negli appartamenti del Progetto C.A.S.E. Le grigie palazzine tutte uguali sono costate parecchio: € 809.000.000 su € 1.086.000.000 finanziati (€ 700.000.000 di origine governativa, € 36.000.000 da donazioni e € 350.000.000 provenienti dall’Unione Europea) per la costruzione di 4.449 appartamenti. Un costo molto alto quelle delle New Town: si può vedere leggendo lo studio «Trent’anni di terremoti italiani- Analisi comparata sulla gestione delle emergenze» in cui emerge che lo Stato pagò € 7.889 euro per ogni sfollato a causa del terremoto dell’Irpinia ed € 23.718 per ogni sfollato in Abruzzo. Nella New Town di Bazzano incontriamo Luciano, è in pigiama e ha la barba lunga, non si fa riprendere. Ma ci dice che la sua casa è 49esima nella graduatoria di ricostruzione nella sua frazione, ma che ancora non hanno toccato la terza in classifica: “Forse non la rivedrò neanche più casa mia, forse la rivedranno i nipoti di mia figlia. Qua ho provato a far sembrare casa, ho messo le tende, ho dipinto le pareti ma i problemi sociali son troppi: non abbiamo servizi, autobus o un punto di ritrovo. Pensa che si sono ritrovati qui tutti insieme quartieri che non c’entravano niente tra loro. L’Aquila bene e L’Aquila degli sfigati come me gomito a gomito. Pensa quanto ci odiamo“. Ha cinquanta anni Luciano e non ha più un lavoro, beve ogni tanto “perchè le giornate sono lunghe nelle New Town”. Come lui tanti hanno iniziato ad essere dipendenti dall’alcool e dal gioco d’azzardo, i dati riportati dai Sert de L’Aquila vedono un fenomeno crescente dopo il terremoto, soprattutto tra i pochi adolescenti rimasti.
Nelle casette di legno ci si sente più sicuri. Il 15 settembre 2009 è stato inaugurato a Onna il villaggio costruito a pochi metri dal paese abbattuto dalle scosse e sono state consegnate le prime casette in legno. 93 moduli abitati provvisori che gli anziani abbruzzesi chiamano “jo mappo”. Pagati 5,2 milioni di euro, fabbricati in Trentino e montati in Abruzzo dalla Protezione Civile. “La mia casa è ancora sotto le macerie, ma quasi quasi non vorrei più andarmene da qui. Ho il giardinetto e prima non avevo niente, addirittura dovevo prendere l’acqua dal pozzo prima”, questo è quello che ci racconta Piero, 80 anni. Sono molte le persone che credono che le case in legno siano la soluzione migliore e più accogliente e si augurano venga utilizzata anche per la ricostruzione di Amatrice. Peccato che siano pochissime le casette messe a disposizione, al contrario delle New Town e la lista per ottenerne una è molto lunga e tortuosa.
Il centro che non c’è e una generazione che se ne va. Cantieri aperti, locali chiusi. Dopo sette anni sono iniziati i difficili lavori nel centro storico de L’Aquila che era uno dei più grandi d’Italia. Il Ministero dei Beni Culturali sta cercando di restaurare invece che ricostruire da zero: sicuramente a lungo termine questo porterà a una città di nuovo storica e affascinante, ma per ora porta a ritardi e impalcature diffuse. L’emergenza più grave è quella delle scuole, ancora una su due è chiusa. Come le storiche elementari De Amicis, che vi mostriamo nel video. Nel 2009 furono danneggiati ben 52 edifici scolastici e ancora 3700 studenti hanno un banco provvisorio sotto dei tendoni. Senza punti di aggregazione, molti di quei ragazzi che all’epoca del terremoto erano adolescenti e godevano della facilità di vivere a L’Aquila oggi vanno fuori a studiare e a farsi una nuova vita. Non c’è il passeggio, non c’è il ritrovarsi dopo la scuola. E sono saltati quei gesti che caratterizzano una città a dimensione di pedone. Il peggio è per chi è nato nel 2009 e non sa neanche cos’era l’Aquila. Manuela, la ragazza che vive nel suo garage, ci racconta “Io lavoro nelle scuole e un giorno un bambino alla domanda di dove sei, mi ha risposto: io sono dei MAP. È molto triste”.
Le New Town rischiano la demolizione. Dopo soli 7 anni, una quota non insignificante di Case e Map è di fatto già inagibile (6 piastre inagibili più altre 12 sotto indagine rappresentano il 10% dell’intero progetto Case); le costruzioni definite durevoli (Case) sono durate meno delle costruzioni definite provvisorie (Map), così si pensa all’abbattimento. ” Sarebbe un fallimento del modello di ricostruzione aquilana- ci spiega Fausto, abitante della New Town- demolire tutto questo che è stato costruito anche grazie alle donazioni dirette degli italiani. Una città fantasma che sparisce. Perchè non riqualificarle invece e farci per esempio delle strutture di accoglienza turistica?”. Nelle casette di legno le persone non se ne vogliono andare, sarà un vero problema se procederanno allo smantellamento senza prima aver garantito la ricostruzione adeguata della prima casa. Intanto il Comune inizia a chiedere l’affitto per la New Town e le bollette sono esorbitanti, Fausto continua “paghiamo 500 euro al mese, così tanto per avere una casa gelata e per noi senza lavoro. E poi vedo tante persone che invece non pagano, sto pagando io per tutti? Per tutti quelli che sono venuti di recente nella New Town, come molti stranieri?”. I 19 insediamenti del progetto Case, i 20 MAP e i 24 tendoni scolastici, le 1102 abitazioni le 106 strutture di servizio rappresentano la fotografia di una città ‘provvisoria’, ancora predominante rispetto a quella che si sta ricostruendo. La permanenza nei garage sembra ancora senza fine.