L’Iran continua la sua guerra contro Israele. Questa volta è stato il turno di droni di ultima generazione sviluppati dagli stessi iraniani. Si tratterebbe dell’Ababil-2 prodotto in Tagikistan.
Il comandante della Brigata al-Quds delle Guardie rivoluzionarie iraniane, il generale Esmail Ghaani, ha rivelato venerdì che l’Iran ha svolto con successo una missione con droni in Israele, questo secondo quanto riferito dall’Arab Post.
I due droni, lanciati da Gaza, avrebbero svolto una missione di video riprese delle città israeliane oltre i confini della “Striscia” senza essere intercettati dai sistemi Iron Dome dello Stato ebraico.
Il capo delle guardie rivoluzionarie iraniane, Hassan Salami, ha dichiarato che “Israele sta preparando le condizioni per la propria distruzione”, in riferimento all’aggressione contro palestinesi, siriani e iraniani. Inoltre, Salami ha affermato che “la Giornata Internazionale di al-Quds è un’occasione per ricordare alle persone di tutto il mondo la questione palestinese e l’occupazione israeliana, e per rinnovare il loro sostegno e la loro solidarietà ai palestinesi e alla loro giusta causa”. Nel pomeriggio la Jihad Islamica, sostenuta dall’Iran, ha pubblicato fotografie aeree delle città israeliane che si trovano lungo il confine con la Striscia di Gaza.
L’Iran dispone quindi di nuovi droni in grado di compiere missioni di ricognizione e attacco, ma già nel 2019 un drone lanciato dalla Jihad Islamica era riuscito ad attaccare alcuni veicoli dell’esercito israeliano che si trovavano lungo il confine con la Striscia di Gaza. Ora l’intelligence israeliana teme che i droni vengano utilizzati contro le città israeliane di confine.
Per intenderci, i nuovi droni in dotazione iraniana sono gli stessi usati dai ribelli Houthi nello Yemen per attaccare obiettivi sauditi e degli Emirati arabi nel Golfo Persico. Possono anche essere utilizzati come droni per l’intelligence o come aerei kamikaze contro obiettivi militari e civili, e addirittura come un aereo per attacchi mordi e fuggi considerato che sono anche in grado di lanciare piccoli ordigni.
Ma anche Hezbollah ha diversi droni in dotazione con i quali, in alcuni casi, ha violato le difese aeree del nord di Israele.
Nuove fabbriche di droni iraniani in Tagistikan
Proprio nei giorni scori, durante una visita in Tagikistan, il capo di stato maggiore delle forze iraniane, il maggiore generale Mohammad Hossein Baqeri, ha inaugurato una nuova fabbrica di droni nella capitale Dushanbe, in una cerimonia alla presenza dell’alto generale iraniano e ministro della Difesa tagiko, il colonnello generale Sherali Mirzo.
La produzione di droni iraniani Ababil-2 in Tagikistan, infatti, è considerata parte dei piani per l’espansione della cooperazione militare e di difesa tra le due nazioni.
Evidenziando i progressi dell’Iran nelle tecnologie dei droni, il maggiore generale Baqeri ha dichiarato: “Oggi abbiamo raggiunto una posizione che oltre a soddisfare le esigenze interne, ci consente di esportare attrezzature militari agli alleati e ai Paesi amici al fine di rafforzare sicurezza e pace sostenibile”.
Ad oggi, il ministero della Difesa iraniano ha sviluppato diverse versioni di velivoli senza pilota Ababil. Ad aprile, l’esercito iraniano ha, inoltre, presentato il drone Ababil-5 con un nuovo design del muso che ne ha migliorato l’efficienza aerodinamica e ridotto la sezione trasversale del radar.
Ma in tutto ciò vi è, come sempre, lo zampino dell’Italia
Tre emissari ombra del governo di Teheran, incaricati di acquistare una partita di armi da più di 300 milioni di euro, sono stati indagati a Roma per associazione con finalità di terrorismo internazionale. Mohamad Hamed Adibpour, Mehran Aalipour Birgani e Esamil Nasab Safarian che, però, si sono resi irreperibili. Rifugiati in Patria.
Rintracciati, invece gli altri 11 indagati, venditori d’armi nostrani e faccendieri, sui cui si dovrà esprimere il gup Anna Maria Gavoni il prossimo 26 maggio, il magistrato che ha impugnato l’archiviazione e che dovrà decidere sulla prosecuzione del procedimento.
L’indagine viaggia in parallelo con quella principale che tira in ballo il principale protagonista, Said Ansary Firouz, 68 anni, un iraniano assassinato da un connazionale che poi si è suicidato un secondo dopo avergli sparato, nell’ottobre 2020 a Formello. Firouz, scrive Repubblica, ha sempre risieduto in Italia, nella Capitale. Titolare di un autosalone, figlio di un ex ambasciatore iraniano ai tempi dello Scià, sarebbe stato l’anello di congiunzione tra la richiesta degli Ayatollah di acquistare le armi – con i tre delegati spediti in Italia – e la volontà di vendere da parte di alcuni produttori bellici italiani. Ma Firouz aveva una tripla vita, perché era legato anche ai nostri servizi segreti. Gli 007 erano consapevoli e informati sulla trattativa che Firouz aveva imbastito a Roma. Un business che avrebbe fruttato, tra il 2016 e il 2017, più di 300 milioni di euro ai mercanti d’armi.
Altre tracce del coinvolgimento italiano si trovano nella vicenda della trattativa per i micidiali droni Hunter mq5.
Gli iraniani avrebbero voluto accaparrarsi droni da guerra da un’azienda italiana. Il sospetto degli inquirenti è che l’oggetto della trattativa fossero gli Hunter mq5, aeromobili con una apertura alare di nove metri, un raggio d’azione di 120 chilometri, in grado di volare per 18 ore continue a 5mila metri d’ altezza. Ma più di ogni cosa capaci di sganciare la pericolosa bomba GBU-44/B Viper Strike. Inoltre, gli investigatori italiani erano certi che Firouz stesse per spedire verso la Repubblica Islamica “5000 pezzi di materiale di armamento”. In questo caso il mitragliatore Browing m2, l’ AK 47, il fucile di precisione Sako trgm 10 e la carabina Tikka t3. Le armi non sono mai arrivate a destinazione. Le Forze dell’ordine hanno bloccato sul nascere la spedizione nella primavera del 2017, mentre la vicenda giudiziaria che ha visto coinvolti alcuni imprenditori italiani si è chiusa con una sentenza di “non luogo a procedere” emessa dal GUP di Roma nel novembre 2023 poiché “non constituente reato”.
E la politica?
In Israele le polemiche sono aspre contro l’inerzia del Premier Naftali Bennet, sempre più in calo di consensi. Accusato di reazioni troppo inconsistenti a fronte dell’offensiva terroristica condotta da Hamas, dietro i proclami di Yahia Sinwar e dei rischi legati a Hezbollah che, pur risultato perdente alle ultime elezioni in Libano, conserva pur sempre un arsenale non indifferente con il quale portare attacchi devastanti contro il nord di Israele e guadagnare nuovi consensi.
L’Italia, invece, tace. I politici sono tutti impegnati nelle solite beghe di palazzo senza capire che una volta chiusa la questione Ucraina (speriamo), si aprirà il fronte iraniano sul quale andiamo comunque molto cauti. Il motivo è semplice. Il nostro Paese, in un modo o nell’altro, vede aziende che continuano imperterrite a fare affari con Teheran, in barba al regime sanzionatorio. Inoltre, pare che qualche politico, assai in vista, potrebbe ricoprire compiti di rilievo per l’import – export con l’Iran, ma noi pensiamo ad altro.