Afghanistan, Iran, Turchia, Qatar, Libia e Tunisia: esemplari rappresentazioni del nuovo volto di una difficile convivenza pacifica nel Mediterraneo allargato.
Dopo circa una decina di giorni che l’”Occidente” (Italia inclusa) ha lasciato l’Afghanistan al suo destino, la città di Kunduz, 300 chilometri a nord di Kabul e 50 chilometri a sud del confine con il Tagikistan terzo capoluogo di provincia, è stato preso dai talebani diventando il Centro di Controllo dell’inesorabile avanzata talebana verso Kabul. Eppure, il Presidente Biden, ritirando le truppe statunitensi dall’Afghanistan, aveva ben sottolineato che la maturità raggiunta dal popolo talebano avrebbe sicuramente contribuito alla creazione di uno stato Democratico e non fondamentalista. Ben diverso il commento dato dall’Imam (italiano) Pallavicini che, nel celebrare la nascita del nuovo anno musulmano 1443 (data della promulgazione da parte del Profeta Maometto della Carta costituzionale – prima al mondo! – di “Medina” di mutua convivenza con le tribù ebree che già ivi residenti), critica duramente questi episodi, definendo “decadenza e arrogante la dottrina religiosa attuata dai Talebani, con infiltrazioni fondamentalistiche riportano a un regresso culturale simile proprio a quel tribalismo e a quella ignoranza che caratterizzava l’intera area araba mediorientale prima dell’avvento dell’Islam.”
In Iran, la settimana scorsa si è insediato quale Presidente neoeletto Ebrahim Raisi, che rappresenta la frangia ultraconservatrice del clero sciita. Definito dal ministero degli Esteri israeliano: “Il macellaio di Teheran denunciato dalla Comunità internazionale per il suo ruolo diretto nelle esecuzioni extra giudiziali di oltre 30mila persone”. Anche per l’Iran, dunque le elezioni rendono chiare le vere maligne intenzioni ad un Iran komeinista di radici salafite”.
In Turchia, malgrado i sovrumani sforzi che l’Europa sta facendo per continuare il dialogo per il suo ingresso nella U.E, la situazione sia politica che economica volge ancora una volta ad una maggiore radicalizzazione del sistema. Lo scorso maggio, Erdogan ha quasi completamente sostituito l’intero vertice della Banca Centrale Turca. La condizione femminile è divenuta una priorità primaria in quanto più volte messa in discussione in ambito UE e il comportamento di Erdogan nei confronti della Presidente della Commissione ne è stata una chiara dimostrazione. Ursula von Der Leyen ha sottolineato con un intervento sul bilaterale tra Unione europea e Turchia, l’incidente diplomatico che ha relegato la presidente della Commissione sul divano, mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si accomodava su una sedia accanto al leader turco Recep Tayyip Erdogan. Ma il suo caso è il simbolo delle contraddizioni per cui la “condizione femminile” in Turchia è divenuto il principale punto ostativo al suo ingresso in UE.
D’altra parte, il contenzioso sulla Zona Economica Esclusiva (firmato da Erdogan e Sarraj), nel particolare dell’area cipriota e sul versante egiziano, mai riconosciuto a livello internazionale e fonte di dissidio (talvolta armato!), la sempre più evidente fragilità dell’economia, l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, sono tutte condizionali che pesano su un tessuto socioeconomico, già fortemente provato dalla situazione pandemica, e la Turchia appare sempre più al collasso economico. Per contro, nonostante le forti riserve espresse dall’Egitto, Erdogan è entrato con piena efficacia in Libia e, grazie agli accordi firmati con l’allora Presidente Sarraj, ha preso nella sostanza non solo il pieno controllo militare della Tripolitania, ma purtroppo anche di tutte le iniziative per un rilancio degli investimenti in Libia, controllando direttamente la banca Centrale di Tripoli. Senza entrare nei particolari del quanto mai costosa componente militare turca, fortemente presente nell’intera Tripolitania, causa del forte indebitamento con il governo del presidente Sarraj, è un dato di fatto che la Libia ha già pagato 15 miliardi di dollari per contratti arretrati alla Turchia e che sono tuttora in corso d’opera in Libia. Il Governatore della Banca centrale libica, Sadiq al Kebir, che nella sostanza ha trasferito il proprio ufficio a Istanbul, ha depositato 8 miliardi di dollari, senza interessi, per 4 anni nella banca centrale turca a mero titolo di garanzia. La società turca Karadeniz Holding che gestisce navi-centrali elettriche ha presentato un progetto per fornire 1.000 megawatt al paese che, in particolare, nel periodo estivo, non ne può più fare a meno. Contratto che prevede il pagamento del 50% del dovuto con prelievi dagli introiti che la Libia spera di fare con la vendita dei prodotti petroliferi. Financo per l’aeroporto di Tripoli, dove l’Italia aveva già in tasca l’80% dei contratti per la sua riattivazione, la banca centrale su pressione dei turchi ha bloccato il pagamento degli anticipi a contratto, rimettendoli in discussione a causa di molte altre proposte della compagnia aeroportuale turca (per la cronaca già presente in Tunisia a Enfida).
E, per finire, a proposito della Tunisia, ricordate l’atterraggio forzato di aerei militari turchi nell’Isola di Jerba e il successivo trasporto di “materiale umanitario” (poi rivelatisi mezzi e armamenti militari che hanno costretto al ritiro delle forze di Haftar dall’intera tripolitana!)? Beh, quella è stata una delle poche notizie rese pubbliche dal governo tunisino. Ma è dato per certo che dal mese scorso funzionari (di ogni genere, incluso il settore “finanza”) egiziani hanno interagito con rappresentanti e “consiglieri” del Presidente Kaïs Sïed. Che stiano indagando anche loro sul flusso di danaro Qatariano affluito (così si dice!) nelle casse di molte associazioni facenti capo a Nahdha? Sicuramente però qualche suggerimento di natura socioeconomica gli egiziani ne avranno suggeriti!
Voglio insinuare che anche in considerazione a quanto accennato infatti, mi è un po’ più chiaro il perché lo scorso 25 luglio, Sïed ha esonerato dall’incarico il primo ministro, Hichem Mechichi, e sospeso per 30 giorni le attività dell’Assemblea dei rappresentanti del Parlamento. Allora il bravo Presidente Sïed giustificò, in base all’articolo 80 della Costituzione, le azioni con la volontà di affrontare la devastante crisi economica e sanitaria in cui versava il Paese. Ma già il fatto che il 28 di luglio è stato nominato ministro ad interim dell’Interno, Ridha Gharsallaoui (suo consigliere per la Sicurezza nazionale), e che anche se non ancora ufficialmente, Il governatore della Banca centrale della Tunisia, Marouane al Abbassi, è stato designato alla guida del futuro governo del Paese nordafricano, ben mi fa comprendere che gli sforzi turchi in Tunisia stiano, se non lo sono già di fatto, fallendo!
In definitiva, ancora una volta i Paesi di religione Islamica stanno dimostrando che non è cosa facile abbracciare con fiducia i dettami della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948: via maestra per l’avvento alla tanto agognata “Repubblica Democratica nella pienezza delle sue LIBERTA’”, cui la maggior parte dei paesi di religione islamica stanno aspirando. Tutto questo, grazie anche se non soprattutto, a quella benedetta “Dichiarazione sulla Fratellanza” umana firmata dal Grande Imam Al Tayeb e Papa Francesco nel 2019.