“Il problema principale del Messico non è la droga, ma solo una conseguenza di un fattore onnipresente nel nostro paese, la povertà. Il narcotraffico cesserà solo quando non farà più comodo a nessuno”.
Ha le idee chiare Alejandro (nome di fantasia). Il ragazzo, messicano di 25 anni, vive a Tepic, capitale dello Stato di Nayarit, nel Messico centrale, e lavora come tutto fare in un distributore di benzina. Grazie alla sua diretta testimonianza Ofcs.report ha approfondito più da vicino la situazione vissuta ogni giorno dai cittadini di questo paese, fra bande armate e trafficanti di droga.
E se tutto muta, c’è una cosa in Messico che non cambia mai e soprattutto non conosce fine: il narcotraffico. A cambiare sono solo i volti, le figure di chi di volta in volta è a capo di questo proficuo business.
Un tempo, nei primi anni novanta, c’era il “Re della Cocaina”: Pablo Escobar, il criminale colombiano, capo incontrastato del cartello di Medelin, attraverso il quale controllava l’80% della droga che entrava in Messico, Repubblica Dominicana, Venezuela, Spagna e Stati Uniti. Considerato il criminale più ricco della storia, Escobar aveva un patrimonio che si aggirava oltre i 30 miliardi di dollari.
Poi è stata la volta di Joaquin Guzman, detto El Chapo, che nel giro di pochissimo tempo ha superato di gran lunga Escobar, diventando fra i narcotrafficanti più potenti e pericolosi nel mondo. Figlio di una famiglia povera, proveniente da un piccolo villaggio dello Stato di Sinaloa, in Messico, divenne da subito leader di un’organizzazione criminale. Insieme ai suoi adepti del cartello di Sinaloia massacrava i suoi rivali mettendo in atto sanguinosi agguati. Dopo molteplici e rocambolesche fughe è stato catturato l’8 gennaio del 2016, a Los Mochis, dagli uomini della Marina Militare. Una vera vittoria per il presidente, Enrique Pena Nieto, che ogni giorno si ritrova a combattere contro narcotrafficanti sempre più spietati che minacciano di continuo la tranquillità del popolo messicano.
Sì, perchè catturare uno dei boss del narcotraffico, non elimina il problema rappresentato da business della droga. Da subito infatti si creano nuove e più pericolose organizzazioni.
A confermarlo da vicino è proprio Alejandro: “Dopo El Chapo non c’è ancora un nuovo, vero leader. Ci sono però tantissimi cartelli della droga che si stanno riorganizzando per prendere definitivamente il potere assoluto sul territorio. Fra quelli più attivi, troviamo il Cártel di Sinaloia, il Cártel del Golfo, che ha base a Matamoros e opera soprattutto nelle regioni Nuevo Leon e Michoán. Poi ci sono i Zeta Templarios: ex militari passati “dall’altra parte”. Erano le forze armate che si battevano contro i narcos, prima di divenire sicari assoldati alla banda del boss (ora in carcere), Osiel Cardenas Guillen.
Anche la vostra camorra in Italia è affiliata con il Cártel dei Zeta Templarios. Ormai i narcotrafficanti hanno quasi lo stesso potere dello Stato, questo grazie ai loro rapporti strettamente connessi con i più alti livelli della politica, dell’apparato statale messicano e anche dell’imprenditoria. Molti esercizi commerciali, anche qui a Tepic, sono stati aperti per un motivo ben preciso: riciclaggio di soldi sporchi provenienti dal traffico di droga”.
E, come ci racconta sempre Alejandro, lo spaccio avviene sotto gli occhi di tutti. Come anche gli omicidi in pieno giorno, dove a morire non sono solo i componenti dei diversi clan che si fanno guerra per il territorio, ma anche innocenti cittadini messicani.
“Ci sono giorni, sia qui che a Ciudad Juárez, in cui ci sono anche più di due, tre omicidi nella stessa giornata. Uomini e donne uccisi non solo con armi da fuoco, ma persino squartati. Le teste mozzate, vengono lasciate lì, a monito per gli altri. Purtroppo è accaduto che anche ignari cittadini venissero feriti. Qui in Messico, questi macabri rituali sono simbolici, soprattutto per terrorizzare”.
Alejandro, parla di queste cose come se fosse la cosa più normale del mondo. Come quella volta che il boss più ricercato del narcotraffico, El Chapo, passando per Tipic, nonostante sulla sua testa pesava un mandato di cattura, diramato sia dal Messico che dagli Stati Uniti, si era fermato tranquillamente a parlare e intimorire le persone del luogo.
E, a proposito di America, Alejandro afferma: “E’ risaputo come gli americani si facciano complici della criminalità organizzata messicana. Come? Con il traffico illegale di armi che non fa altro che favorire la violenza legata alla droga nei nostri paesi e territori”.
Affermazioni, queste, che trovano riscontro negli ultimi studi (riportati dall’Agenzia Fides) che stimano come ogni giorno, duemila armi vengono introdotte illegalmente in Messico dagli Stati Uniti. Solo nel periodo 2012-2014 sono stati più di 40.000 gli omicidi causati da esecuzioni, aggressioni e lotte in cui i clan hanno fatto ricorso anche ad armi pesanti.
E in queste “lotte armate” molte volte i sicari sono ragazzini di appena 12, 13 anni : “ Il problema principale del Messico purtroppo è la povertà. In molti per uscire da questa condizione intraprendono dei percorsi da cui molte volte non fanno più ritorno, se non da morti ammazzati. Io sono stato fortunato, ma molti miei amici, coetanei, ragazzi molto poveri e con scarse prospettive di vita hanno visto nel narcotraffico soldi facili.
Insomma, un modo per uscire da una vita, dove le aspettative, soprattutto quelle economiche, sono davvero poche. Ne conosco alcuni, ragazzini di 13 anni, che prendono in una settimana quello che non vedrebbero nemmeno in due mesi di lavoro ordinario. Io di certo, cifre così non le ho mai viste. E si sa, i soldi facili fanno gola a tutti. Il segreto è saper resistere alla tentazione e tirarsi fuori prima che sia troppo tardi. Perché una volta che entri a far parte di un clan, uscirne è quasi impossibile. Mio cugino, entrato a far parte del cartello dei Los Zetas, insistette molto per convincermi a intraprendere la sua stessa strada, ma grazie anche ai miei fratelli più grandi non ci riuscì. Un anno fa l’hanno trovato morto con il cranio fracassato in un vecchio scantinato. Si dice per aver fatto uno sgarbo di troppo a ‘uno più in alto di lui’ nella gang”.
Molti vengono reclutati dai cartelli dei Los Zetas o della Sinaloa Federation. Non è raro, anzi è quasi consuetudine, che questi ragazzi appena adolescenti diventino veri e propri sicari. Il motivo è presto spiegato. In Messico uccidere, ferire o mutilare uomini e donne non è perseguibile penalmente se sei sotto i 14 anni. In altre parole la legge proibisce l’incarcerazione di questi minori, che dopo essere arrestati per accertamenti vengono subito rilasciati.
Ma non ci sono solo i ragazzi a far parte di queste gang di narcotrafficanti. Anche le donne svolgono un ruolo fondamentale, sopratutto nello spaccio di stupefacenti e del trasporto d’armi. Questo perché il più delle volte destano meno sospetti nelle autorità, rispetto ai loro “colleghi” uomini.
Dall’ultimo report della DEA, l’agenzia antidroga americana (Drug Enforcement Administration), emergono otto grandi cartelli messicani. Il primo è sempre quello della Sinaloa, poi il cartello Jalisco Nueva Generación (CJNG), e a seguire: Beltrán-Leyva Organization (BLO), Los Zetas, Cartello del Golfo (CDG), Cartello di Juárez/La Línea (CDJ), La Familia Michoacana (LFM) e Los Caballeros Templarios (LCT). Questi ultimi due hanno perso nettamente influenza, capacità operative e coesione a livello di organizzazione, mentre il CJNG, nato da una scissione del cartello di Sinoloa nel 2010, si presenta come il gruppo in maggior crescita. Dal suo stato d’origine, il Jalisco, con la sua bella capitale Guadalajara, l’organizzazione si estende ai vicini Nayarit, Colima, Guerrero, Michoacán e al Veracruz.
Una situazione, quella analizzata dalla DEA, che fa capire quanto sia difficile anche solo vivere tranquillamente in qualsiasi cittadina messicana. Una lotta militarizzata che ha fatto oltre 130mila vittime in soli otto anni e mezzo e dove si è registrato un drastico aumento delle violazioni dei diritti umani.
Per questo come ultima domanda, chiedo ad Alejandro, che vive solo con il padre e i due fratelli (la madre è morta quando aveva 3 anni), se pensa mai di andar via da Tepic, solo o con tutta la sua famiglia: “Io amo vivere qui, ho la mia famiglia, la mia gente i miei amici. Avrei voluto continuare a studiare, ma non ho potuto. Ora ho un lavoro, non guadagno quanto i ragazzi assoldati nei cartelli, ma sono a posto così. La violenza in Messico finirà quando tutto questo non farà più comodo ai potenti, Usa inclusi”.
Una visione chiara, quella di questo ragazzo che vive da vicino ciò che era stato riportato anche in una recente inchiesta del Washington Post, dove si parlava di come ogni anno il narcotraffico messicano, porti al mercato statunitense tra i 18 e i 39 miliardi di dollari, provenienti dal crimine organizzato. Perché in tutto il mondo il business è business, e anche il Messico, in questo, non fa differenza.