La Knesset, il parlamento d’Israele, ha approvato lunedì scorso il disegno di legge che legalizza retroattivamente tra i 2500 e i 4000 alloggi ebraici edificati su proprietà private palestinesi, nell’area C della Cisgiordania. I voti a favore sono stati 60, i contrari 52. Il testo prevede una compensazione pecuniaria per i proprietari dei terreni su cui sorgono le abitazioni, in accordo con la legislazione in vigore nel territorio dello Stato israeliano, e mira a evitare possibili sgomberi forzati come quello dell’avamposto illegale ebraico di Amona, a nord-est di Ramallah, avvenuto la scorsa settimana. Con il voto di lunedì è la prima volta che la Knesset legifera in riferimento all’area C della Cisgiordania, sotto controllo civile e militare di Israele in base agli accordi di Oslo, ma finora al di fuori della competenza del parlamento dello Stato ebraico in quanto considerata oggetto di futuri negoziati.
Il testo normativo appena approvato, inoltre, si discosta dalla quarantennale giurisprudenza israeliana e contravviene alle sentenze della Corte Suprema di Tel Aviv sul diritto di proprietà. Il procuratore generale, Avichai Mandelblit, ha definito la legge “incostituzionale”. Il voto, è avvenuto su iniziativa del ministro dell’Istruzione e leader del partito della destra religiosa Habayit Hayehudi, Naftali Bennett, contro la volontà del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che nella giornata di lunedì stava facendo rientro da Londra dopo l’incontro con la premier britannica Theresa May. Netanyahu, in effetti, già nei giorni scorsi, aveva chiesto di rinviare il voto sul controverso disegno di legge – che non poche tensioni aveva provocato anche all’interno dello stesso esecutivo israeliano – a dopo il 15 febbraio, data dell’atteso primo incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Immediata la reazione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) che ha definito il testo “inaccettabile”. Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha dichiarato che la legge “è contraria alla Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu” – che lo scorso dicembre aveva dichiarato illegali gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme Est – e ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire quanto prima per evitare che la situazione raggiunga un livello “di difficile gestione”. Nella stessa serata di lunedì, inoltre, l’Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp) ha definito la sanatoria sulle colonie “un furto legalizzato” di terre palestinesi, e ha dichiarato che “la colonizzazione israeliana è un ostacolo alla pace e alla possibilità di giungere a una soluzione dei due Stati”.
In seguito all’approvazione della nuova legge di Tel Aviv, l’Unione Europea ha deciso di posticipare un summit con Israele previsto per il prossimo 28 febbraio e ha precisato che “l’incontro, finalizzato a segnare il disgelo nelle relazioni tra Ue e Israele, viene rimandato ormai da cinque anni”. Da Parigi, il ministro degli Esteri, Jean-Marc Ayrault, ha chiesto a Israele di “rispettare i suoi accordi internazionali e ritirare la legge”. Contrari al testo normativo anche Gran Bretagna, Islanda, Giordania e Turchia. “Condanniamo con forza l’adozione da parte del parlamento di Israele della legge”, ha precisato il Ministero degli Esteri turco in un comunicato. Per Ankara la politica di Israele è “inaccettabile” e “distrugge le basi per la soluzione dei due stati”.
Il duro commento della Turchia alla legge sugli insediamenti è giunto lunedì, giorno in cui il ministro del turismo turco, Nabi Avci, era atteso a Tel Aviv per un incontro con il suo omologo israeliano,Yariv Levin, in occasione della 23esima Fiera internazionale del Turismo. La visita di Avci è stata la prima visita di un ministro turco in Israele dal 2010. Dopo sei anni di gelo diplomatico, infatti, Turchia e Israele, lo scorso giugno, avevano finalizzato un accordo di normalizzazione delle relazioni bilaterali, resosi necessario dopo le tensioni tra i due paesi conseguenti all’incidente della Mavi Marmara del 2010. Tuttavia, il silenzio che fa rumore più di ogni condanna è quello di Trump. Nella serata di lunedì, la Casa Bianca si è rifiutata di commentare il testo normativo che legalizza gli insediamenti israeliani ha riferito in un comunicato che “l’amministrazione necessita di importanti consultazioni per decidere su come procedere”.