Dopo Russia, Stati Uniti e Iran, anche la Turchia prende direttamente parte nel conflitto siriano. Lo scorso 24 agosto le forze armate di Ankara hanno attraversato il confine con la Siria. L’obiettivo di questa massiccia operazione militare, secondo quanto dichiarato dal presidente, Recep Tayyip Erdogan, e dallo Stato Maggiore dell’Esercito, è quello di allontanare i gruppi terroristici dalla frontiera e mettere così in sicurezza un confine colabrodo.
La campagna, chiamata “scudo dell’Eufrate”, punta alla conquista dell’importante città di confine di Jarabulus, controllata dall’Isis e delle zone di confine occupate dalle milizie curde dell’Ypg, braccio armato del Pyd, il Partito dell’Unione Democratica curdo. I curdi, alleati degli Stati Uniti in Siria, sono diventati il bersaglio principale della spedizione militare turca. Nella sola giornata di sabato, le forze armate di Ankara hanno dichiarato di aver eliminato almeno 25 “terroristi”, termine con il quale i militari indicano i combattenti curdi, anche se secondo diverse associazioni umanitarie presenti nella zona, le azioni dei soldati turchi avrebbero provocato più di 40 morti tra i civili. I curdi e le milizie popolari del Rojava sono il nemico numero uno del presidente Erdogan, tanto da suscitare il sospetto che il blitz in Siria sia un pretesto per chiudere definitivamente la partita con il braccio siriano del Pkk.
Un sospetto condiviso anche dagli Stati Uniti, che hanno deciso di intervenire in difesa dei loro alleati. In una nota, la Casa Bianca, ha fatto sapere che: “Stiamo monitorando le notizie di raid e scontri a sud di Jarablus tra le forze turche, alcuni gruppi di opposizione e le unità affiliate alle Sdf (Forze democratiche curdo-siriane). Vogliamo esprimere con chiarezza che riteniamo questi scontri, in aree in cui lo Stato islamico non è presente, inaccettabili e fonte di forte preoccupazione”. Parole alle quali si aggiungono le dichiarazioni dell’inviato speciale contro l’Isis della presidenza americana, Brett McGurk, che su Twitter scrive: “Invitiamo tutti gli attori armati a prendere le misure appropriate per fermare le ostilità e aprire canali di comunicazione, focalizzandosi sull’Isis, che rimane una minaccia letale e comune”.
La risposta turca non si è fatta attendere: “Nessuno ha il diritto di dire alla Turchia quali organizzazioni terroristiche possano combattere”, ha detto il ministro turco per gli Affari Ue, Omer Celik. Gli Stati Uniti “dovrebbero mantenere la parola data” e costringere i curdi siriani del Partito dell’Unione democratica (Pyd) a ritirarsi a est dell’Eufrate, ha aggiunto il vice premier turco Numan Kurtulus, lamentando lo scarso impegno da parte degli americani nell’esercitare pressione sui gruppi armati curdi. L’Eufrate è la linea di sicurezza tracciata da Erdogan, se i curdi si ritireranno al di là del fiume l’operazione potrà dirsi conclusa.
Dopo Jarabulus, l’esercito turco e le milizie di opposizione siriane dell’Esl puntano Manbij. La città, recentemente liberata dalla presenza dell’Isis grazie agli sforzi bellici curdi, è l’obiettivo dichiarato della campagna militare sponsorizzata da Ankara. L’assedio a Manbij è pronto. “Abbiamo intimato alle forze curde di abbandonare i villaggi sotto il loro controllo entro 24 ore”, ha dichiarato a Rudaw, agenzia di stampa del Kurdistan iracheno, il comandante turcomanno Ahmed Osman. Le milizie ribelli dell’Esl mirano a collegare Jarabulus e Manbij per poi lanciare una pesante offensiva su al Bab, città a nord di Aleppo ancora nelle mani dell’Isis. La spedizione militare turca ha rivitalizzato le forze di opposizione, strette tra i jihadisti di Daesh da un lato, e l’esercito siriano dall’altro, regalando all’Esl una nuova legittimità e un ruolo nei negoziati di pace che verranno.
Mentre Turchia e Stati Uniti sono sempre più ai ferri corti, la Russia è nuovamente al centro dell’agenda sulla sicurezza internazionale. “Il presidente, Vladimir Putin, ha tenuto una riunione con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza”, ha dichiarato Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino. “Si è svolta una discussione sui risultati dei colloqui Russia-Usa tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il Segretario di Stato John Kerry a Ginevra”, ha poi aggiunto il portavoce. L’incontro Kerry-Lavrov precede quello tra esperti russi e americani che, nei prossimi giorni, si incontreranno in Svizzera per stabilire date e formato dei nuovi negoziati. A decidere se la pace si farà non saranno i siriani, ma le due superpotenze, veri e propri deus ex machina della mattanza che da cinque anni attanaglia la Siria.