La recente sentenza di condanna, in Egitto, del leader dei Fratelli Musulmani, Mahmoud Ezzat, per aver procurato armi in occasione degli scontri del 2013 e per il ruolo avuto nell’assassinio del Procuratore generale Hisham Barakat, nel 2015, ripropone il ruolo dei Fratelli Mussulmani nelle relazioni internazionali. Ezzat era stato condannato a morte in absentia nel 2015, ma il giudizio si è riaperto a seguito del suo arresto nel mese di agosto scorso per concludersi con una sentenza di condanna a vita.
La questione del ruolo dei Fratelli Musulmani negli sviluppi geopolitici mediorientali è di attualità anche se affonda le radici in Egitto agli inizi del secolo scorso con l’opera del suo ideologo e fondatore, Hassan Al Banna, e alla divulgazione degli scritti che hanno ispirato il moderno Islam politico, di orientamento fondamentalista. dell’ideologo Said Qutb. Il movimento subì, più di venti anni dopo, la dura repressione di Nasser dopo che, il 26 ottobre 1954, i Fratelli musulmanicercarono di assassinarlo per mano di Mahmoud Abdel-Latiffino (cui seguì un famoso discorso di Nasser), fino ad arrivare alle tele-predicazioni, dal pulpito di Al Jazeera sin dal 1996, del Decano del Dipartimento Islamico delle Facoltà di Shari’a e della Educazione nel Qatar e attuale leader della Fratellanza a livello mondiale, Yusuf al-Qaradawi.
Quest’ultimo influenza, con le proprie omelie virulente, gli stessi fedeli che prima frequentavano le moschee finanziate dai sauditi. Il Qatar, infatti, ha per molti anni finanziato Hamas e secondo, il Dipartimento americano del tesoro, più recentemente i gruppi estremisti che combattono in Siria. Per questo, peraltro, gli amministratori della Power International Holding e la Doha Bank sono stati inquisiti nel 2019 dall’Alta Corte britannica.
Lo stesso Paese, secondo la medesima fonte ufficiale, è cosi “permissivo” da essere diventato la base operativa di reti finanziarie internazionali terroriste basate in Kuwait.
La Primavera araba ha consentito a Doha di sostenere gruppi islamisti in tutta la regione portando avanti un’agenda che ha condiviso con Turchia e Iran e volta a destabilizzare il Medio Oriente e il Nord Africa, non certo come una campagna per la democrazia, ma una per l’interpretazione dell’Islam. In quella circostanza, la Fratellanza ha acquisito ulteriore vigore dimostrando di essere in grado di mobilitare le masse, attirandosi le ire delle monarchie del Golfo e la conferma dei sospetti da parte egiziana; secondo le fonti giornalistiche tunisine, il Qatar finanziava i partiti islamisti del Paese.
Gli Stati del Golfo hanno sostenuto politicamente e finanziariamente il colpo di stato in Egitto nel 2013 e la coalizione Nidaa Tounes in Tunisia che si opponeva a Ennahda, il partito islamista con legami con la Fratellanza mussulmana sostenuto da Qatar e Turchia. In questo modo, agli slogan ideologici pan arabi dell’epoca della Guerra fredda, che distinguevano il Cairo di Nasser e i suoi rivali monarchici, si è sostituita una lotta feroce su base settaria che propagando in Nord Africa l’allontanamento del Qatar dalle altre monarchie e allontanando la prospettiva di crescita democratica e sviluppo del mondo arabo.
Questa visione settaria innestata, per motivi geopolitici realisti, sui movimenti genuini delle popolazioni che chiedevano democrazia e sviluppo economico, rischia di prolungare ancora per molto una tanto auspicata transizione democratica ed economica sfruttando la finestra di opportunità che la demografia ancora offrirebbe.
Purtroppo tale logica settaria sembra estremamente diffusa e in grado di condizionare la politica mediorientale. Secondo la medesima logica, i sauditi nel dicembre 2012 hanno sostenuto con armi ed equipaggiamenti le fazioni nazionaliste e moderate del Libero esercito siriano, cercando di contrastare la crescente potenza di Jabhat al-Nusras nella Siria settentrionale.
In Tunisia, si sono manifestate tensioni sul crinale religioso-laico che sono culminate nell’uccisione del segretario del Partito dei Patrioti Democratici Chokri Belaid in febbraio 2013; Belaid, infatti, era uno dei massimi esponenti di Nidaa Tounes, una formazione politica di recente costruzione che è considerata la più importante dell’opposizione tunisina ed era stato il regista dell’operazione che aveva portato nel 2012 al varo del Fronte Popolare – blocco laico e riformista contrario al partito confessionale islamico Ennahda. Sei mesi dopo, Brahmi, deputato dell’Assemblea costituente, già leader del Movimento del Popolo e da poche settimane coordinatore generale del nuovo partito Corrente Popolare, è stato assassinato nello stesso modo in cui fu colpito a morte Chokri Belaid, avviando la crisi politica tunisina dell’estate del 2013, accelerata anche dal colpo di stato egiziano. Ennahda ha moderato le sue posizioni dal 2013, distanziandosi, almeno formalmente, dalla Fratellanza Mussulmana già ai tempi del colpo di stato in Egitto, e abbandonando il modello rappresentato dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) turco.
In Europa le azioni della Fratellanza sono improntate all’ampliamento della già consistente rete finanziaria che ha il compito di alimentare le numerose iniziative di soft power portate avanti sul Vecchio Continente, senza tralasciare le necessarie azioni a maggior connotazione cinetica (quali, ad esempio, gli attentati di Madrid o di Parigi e il caso di Cüneyt Ciftci, primo attentatore suicida in Germania), necessarie a sostenere le campagne di raccolta fondi per la jihad secondo un noto principio sociologico di “effetto fianco radicale” secondo il quale organizzazioni moderate aumentano i finanziamenti con l’emergere di movimenti radicali. Il recente caso di Rambouillet e l’assassinio di Samuel Paty sono le manifestazioni fanatiche e paranoiche delle campagne di lotta finanziate sui social media dagli islamisti e delle attività condotte nel mondo dai dirigenti turchi, qatarini e pakistani.
In merito all’Islam moderato, i servizi di sicurezza tedeschi, Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV), nel loro rapporto annuale evidenziavano già nel 2005 che i gruppi islamisti rappresentano una minaccia specifica per “la coesione interna delle nostre società.”
Dello stesso tenore le considerazioni di Alain Chouet, in passato il responsabile dei servizi di counterintelligence francesi, la DGSE, che temeva la diffusione della Fratellanza e l’ampliamento della sua audience affermando che “il lupo conosce le tecniche per apparire una pecora”.
Sulle ingerenze straniere, in particolare turche e sui movimenti estremisti islamici in Francia si è recentemente espresso il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin. In gennaio, infatti, l’associazione Millî Görüs, il Comitato per il coordinamento dei musulmani turchi di Francia e il Movimento “Fede e Pratica”, vicino ai predicatori integralisti del Tabligh Eddawa, hanno rifiutato di siglare, nell’ambito del Consiglio francese di culto musulmano (CFCM), la “Carta dei principi dell’islam in Francia”, facendo irritare non poco il presidente francese, Emmanuel Macron.
Numerose le prese di posizione nel mondo arabo e da parte del presidente turco nei confronti del presidente francese, poche e timide sono state, invece, le manifestazioni di solidarietà da parte dei Paesi occidentali.