Di seguito l’intervento al convegno “Antisemitismi vecchi e nuovi a ottant’anni dalla liberazione del campo di Auschwitz”
Quando il professor Pietro Polieri mi ha proposto di realizzare assieme una conferenza sul 27 gennaio, Giornata internazionale della Memoria della Shoah, ci dicemmo che, in un momento come quello che stiamo vivendo, la giornata è ormai divenuta un puro esercizio retorico e per certi aspetti strumentalizzato da chi piange, per un giorno, gli ebrei morti e tormenta i vivi con l’esercizio di quegli stereotipi antisionisti che rappresentano la forma moderna, più insidiosa e subdola, di antisemitismo.
La domanda che ci siamo posti é stata, se quel nobile motto “MAI PIÙ” che in Europa ci si è dati con la apertura dei cancelli e la liberazione di Auschwitz avesse ancora un senso. Se non dovesse piuttosto essere trasformato in un “ PERCHÉ ANCORA?”. Perché ancora antisemitismo? Perché ancora odio antiebraico? Perché ancora la caccia all’ebreo per le strade europee ma anche in quelle degli Stati Uniti, dell’Australia, del Sud Africa e finanche in quelle strade che dovrebbero essere più sicure per un ebreo, quelle di Israele.
Un antisemitismo che nei secoli si è vestito con abiti su misura e che ha assunto varie forme. Dal primordiale odio antiebraico clericale, riversato contro l’ebreo deicida, all’odio di classe alimentato dal nascente comunismo, all’odio dei lumi della ragione di quei filosofi e pensatori che mal digerirono l’attitudine ebraica a non omologarsi alle ideologie e che con i loro scritti e pamphlet crearono l’humus culturale per i pogrom zaristi, per le discriminazioni come il caso Dreyfus, per la Shoah nazista.
In era moderna la nascita dello Stato di Israele non ha placato tutto questo, semmai ha alimentato una nuova forma di antisemitismo, l’antisionismo. Quanto avvenuto il 7 ottobre 2023 ha probabilmente, rappresentato il punto apicale del fenomeno e lo svelarsi di un odio profondo, viscerale, atavico per l’ebreo.
La strage nazista islamista di Hamas viene però da lontano, non arriva all’improvviso come una meteora piombata a sorpresa sulla terra. Quella strage é figlia di un sentimento antiebraico mai sopito e che risale biblicamente alla notte dei tempi, ma che in era moderna, mentre le ceneri di Auschwitz ancora aleggiavano, cominciò a manifestarsi dopo quel fatidico 14 maggio del 1948 considerato dal mondo arabo una nakba, una catastrofe.
Ecco quindi il terrorismo stragista palestinese, la follia disumana che traduce l’odio in azione.
–Olimpiadi di Monaco 1972 la squadra israeliana viene assaltata. Mentre il resto del mondo porta a casa medaglie Israele riporta
a casa 11 bare di atleti massacrati.
–Asilo di Maalot, 1974, un commando palestinese penetra in una scuola elementare e uccide 27 persone, tra adulti e bambini ferendone 66.
Gli Anni ’80, le stragi negli aeroporti, i dirottamenti, gli assalti alle sinagoghe come quello del 9 ottobre 1982 al tempio di Roma dove muore assassinato il piccolo Stefano Gai Taché, vittima dell’odio antiebraico palestinese.
Ma il salto di qualità definitivo, mentre in molte città del mondo si manifesta lasciando bare davanti alle sinagoghe e ci si traveste da kamikaze pronti a farsi esplodere anche per solidarietà con i palestinesi o in chiave anti occidentale, avviene a Tolosa nel marzo 2012, quando i terroristi islamisti entrano in una scuola ebraica uccidendo bambini e filmando il tutto con una bodycam che permette loro di glorificare sui social la loro impresa, perché tutto il mondo potesse vedere di cosa fossero capaci. Stessa tecnica usata da Hamas con larga diffusione il 7 ottobre 2023. L’odio esibito, gli stupri, le violenze filmate per incutere terrore, ma anche umiliazione e scempio delle vittime.
Nel frattempo alle Nazioni Unite risoluzioni contro Israele si susseguono come se piovesse, la stessa Onu che nel 2001 organizza a Durban una conferenza sul razzismo che diviene un processo al sionismo, con susseguente caccia all’ ebreo per le le vie della città sudafricana. Quel Palazzo di Vetro che sovvenziona organizzazioni come l’Unrwa, struttura che dovrebbe occuparsi di dare sussistenza ai palestinesi sotto forma di aiuti ed educazione ma che nei suoi programmi e testi scolastici li istruisce all’odio contro gli ebrei, così come i sermoni di molti Imam, troppi Imam, che nei vari canali arabi definiscono gli ebrei scimmie e usurpatori di terre arabe. Odio su odio e il furore antiebraico dilaga.
Intanto, in Daghestan si cerca di colpire i passeggeri scesi da un aereo proveniente da Israele e per le strade di Amsterdam scatta il pogrom con l’ennesima caccia all’ebreo al termine di un match calcistico, mentre in tanti minimizzano e rimangono indifferenti. E nel mondo delle tifoserie e degli stadi quegli slogan continui, l’uso indebito di immagini come quella della tormentata ragazzina ebrea olandese Anna Frank, quei cori di dileggio ripetuti e ossessivi che ormai fanno parte della sottocultura e della miseria mentale delle curve. Lo sport che non è immune dal fenomeno anzi, troppe volte lo alimenta squallidamente, come accaduto recentemente con la squadra svizzera di scherma che volta le spalle alla squadra israeliana durante la premiazione mentre suona l’inno nazionale di Israele Hatikva. I boicottaggi continui delle compagini israeliane in ogni sport e in ogni competizione e molto, troppo spesso, messi in atto dalle formazioni giovanili.
Proprio quei giovani che manifestano nelle università l’odio antiebraico e che dagli atenei americani ed europei lanciano quello slogan che è il più perfido esempio di odio antiebraico ebraico in assoluto,”Palestina libera dal fiume al mare”, lo stesso programma elaborato da Adolf Hitler nella campagna di sterminio degli ebrei d’Europa, un continente judenfrei come una frangia di facinorosi studenti di Harvard, della Columbus, di Torino, di Napoli, della Sapienza a Roma che vorrebbero la sparizione del popolo ebraico dalla terra di Israele, una pulizia etnica in piena regola e una nuova Shoah per gli ebrei.
Se a procurare dolori e lutti sono le violenze e gli attentati, non da meno sono le preoccupazioni per gli episodi di antisemitismo come quelli nel nostro paese denunciati dal CDEC nel nuovo rapporto 2024 che li indica come raddoppiati, soprattutto per quel motore inesauribile e tossico rappresentato dai social.
A tutto questo vanno aggiunti quei talk show dove pseudo intellettuali o giornalisti dediti alla continua polemica antisraeliana, tracimano in un veleno che ha pochi argini e freni inibitori.
Del resto in Italia ci sono politici che arringano le telecamere chiedendo agli ebrei di dissociarsi da Israele e prendere così le distanze del presunto genocidio, altrimenti accusati di esserne complici, perpetrato ai danni palestinesi. Una deriva chiara e pericolosa, una trappola per insane passioni e rancori pronti a scatenarsi contro l’ebreo che naturalmente non si dissocia.
Viene chiesto a David di discolparsi, come nel famoso e splendido articolo degli anni ’80 di Rosellina Balbi. L’effetto prodotto lo viviamo quotidianamente con ebrei cacciati dai locali come a Napoli recentemente, ebrei non accolti negli alberghi come capitato in Veneto, adesivi che invitano a non entrare nei negozi degli ebrei come nel 1938 in Germania e in Italia con il nazismo e il fascismo.
E in un beffardo gioco dell’oca si torna quindi alla domanda iniziale: perché ancora? Perché ancora il popolo ebraico viene additato come colui che procura ogni danno all’umanità? Il popolo che cospira per la conquista del potere mondiale, che affama il prossimo, che inventa i virus per guadagnare con i vaccini…abbiamo letto o ascoltato anche questo…perché ancora?
È la domanda delle domande e questa conferenza prova a dare le risposte, ma allo stesso tempo cerca di combattere l’odio con le parole, con i principi, con la cultura, con le notizie contro le fake news, la falsa propaganda.
Da giornalista ho cercato di ritessere il filo di una tela millenaria che seguita ad essere tessuta e si perpetua da secoli e si tramanda di generazione in generazione come il biblico nemico Amalek, colui che odia l’ebreo senza motivo e si alimenta di un rancore fine a stesso, immotivato e cieco. A noi il comandamento di combattere Amalek, senza sconti e senza indugi e questo facciamo da secoli senza piegarci, consapevoli della nostra forza morale e spirituale.