di Simone Santucci, autore de “Profili storici e sistematici della messa in stato d’accusa” per Labparlmento.it
Con folle riunite in piazza invocanti la messa in stato d’accusa il Presidente della Repubblica cala il sipario sulla più lunga crisi di governo della storia della repubblica culminata, nelle ultime ore di ieri con la più grossa frattura mai vista tra le forze politiche detentrici della maggioranza parlamentare e Quirinale. Lo scoglio insormontabile rappresentato dal niet al nome di Paolo Savona ha determinato, per la prima volta, la rinuncia alla formazione del Governo da parte di un Presidente incaricato e ha scatenato la feroce reazione del MoVimento 5 stelle e di Fratelli d’Italia con l’invocazione della procedura di destituzione presidenziale prevista dall’art. 90 della Costituzione.
Il corpus normativo che ruota attorno a questo articolo, senz’altro tra i più misteriosi di tutta la Carta, prevede la messa in stato d’accusa per il Presidente della Repubblica in caso di “alto tradimento” e “attentato alla Costituzione”.
Alto tradimento e attentato alla Costituzione: di cosa si tratta?
La maggioranza della dottrina propende per l’autonomia delle due fattispecie anche perché, l’Assemblea costituente, seppur solamente per una questione “nominale”, non volle ricalcare per queste fattispecie i reati penali già esistenti. Si nota come, analizzando l’art. 90 non singolarmente, ma in combinato disposto con l’art. 54 che prevede il dovere di fedeltà, si possa arrivare al paradosso di avere effetti oltremodo estensivi: qualsiasi scorrettezza posta in essere potrebbe quindi portare a un “tradimento” che si connoterebbe come “alto” solamente grazie alla carica ricoperta dall’autore del reato in esame. Di conseguenza, il reato di alto tradimento si configurerebbe quando vi sia la presenza di comportamenti anticostituzionali ordinariamente caratterizzati da un dolo specifico.