“Parteciperemo a modo nostro”, con questa frase, pronunciata da Abu Mohammed, uno dei leader di Settembre nero, venne dato il via alla preparazione e alla successiva realizzazione del piano terroristico che portò alla morte di 11 componenti della rappresentanza olimpica di Israele nel 1972 a Monaco di Baviera.
Il pretesto, perché tale fu, venne fornito dal rigetto, o meglio, da una non considerazione della richiesta di partecipazione ai giochi di Monaco da parte del Comitato Olimpico internazionale presentata da parte della Federazione giovanile palestinese e dalla volontà dell’Olp di allargare gli orizzonti dell’offensiva terroristica.
La pianificazione dell’azione vide la luce a Roma, in piazza della Rotonda, al Pantheon, durante un incontro tra Muhammad Dawud Awda, alias Abu Dawud, Salah Khalaf, alias Abu Iyad, entrambi esponenti di al Fath con il già citato Abu Mohammed. Ma i due rappresentanti di al Fath operavano sotto l’input di Yasser Arafat, il reale ispiratore delle azioni dei movimenti terroristici legati all’Olp in modo più o meno palese.
Alcuni tra i componenti del gruppo che avrebbe portato a termine l’azione furono selezionati per lo più nel campo profughi libanese di Shatila, altri due tra gli impiegati dello stesso villaggio olimpico. L’operazione venne denominata “Biraam e Ikrit”, dal nome di due villaggi arabo-palestinesi, e fu avvolta dal massimo riserbo al punto che nemmeno i componenti del commando ne conoscevano i dettagli sino alla loro entrata in azione.
Il successivo trasferimento in Libia per l’addestramento, di tutti i componenti selezionati per attuare il piano, rivelò anche la posizione gheddafiana in merito alla questione “mediorientale” e, più in generale, la spinta visceralmente anti-occidentale e pro-palestinese della politica araba di quegli anni.
La strage di Monaco
I giochi olimpici di Monaco dell’estate 1972 si tennero in una cornice festosa e un’atmosfera idilliaca nel villaggio degli atleti che indussero le autorità della Germania Ovest a mantenere i livelli di sicurezza a un livello standard, anche per non ingenerare alcun ricordo del periodo buio del Terzo Reich e delle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Le Olimpiadi del 1972 furono contrassegnate dalla più alta partecipazione di delegazioni (120) e atleti (7.000) e intendevano consolidare il periodo di pace conseguente al sanguinoso conflitto mondiale che vide proprio la Germania come nefasta protagonista.
Volontari civili in divise bianche e blu, muniti di ricetrasmittenti e disarmati, erano gli unici incaricati della vigilanza degli impianti sportivi e delle palazzine ospitanti le delegazioni dei Paesi impegnati nelle varie discipline sportive.
In definitiva, nulla avrebbe potuto turbare l’atmosfera quasi serafica che regnava nel villaggio olimpico dove il massimo della trasgressione era lo scavalcamento delle recinzioni di sicurezza da parte di atleti giunti in ritardo e magari un pò alticci, date le ampie libagioni di alcool consumato nei locali, rispetto agli orari di chiusura dei cancelli a protezione delle palazzine delle delegazioni partecipanti ai giochi.
Alle 4 del mattino del 5 settembre 1972, il commando di Settembre nero, non trovò quindi alcun ostacolo nel penetrare all’interno del villaggio olimpico, incautamente facilitato da un gruppo di atleti statunitensi, completamente ubriachi che aiutarono i membri del gruppo a scavalcare le recinzioni di accesso.
I terroristi penetrarono nella palazzina della delegazione israeliana dove uccisero subito Yossef Romano, atleta della disciplina del sollevamento pesi, che aveva tentato di opporsi all’irruzione e Moshe Weinberg, allenatore di lotta greco-romana.
Dall’interno delle camere prelevarono gli altri sportivi, Amitzur Shapira, allenatore di atletica leggera, Kehat Shorr, allenatore di tiro a segno, Yakov Springer, giudice di sollevamento pesi, André Spitzer, allenatore di scherma, David Berger, pesista, Mark Slavin, lottatore, Ze’ev Friedman, pesista, Eliezer Halfin, lottatore, mentre Gad Tsobari, un altro pesista, riuscì a fuggire da una finestra del suo alloggio. Quest’ultimo, con la sua testimonianza subito resa alle autorità tedesche, fu determinanteper accertare il numero dei componenti del commando di Settembre nero e dell’armamento di cui erano muniti.
Una volta riuniti gli ostaggi, il commando intraprese le trattative con i funzionari della sicurezza tedesca richiedendo la liberazione di 234 terroristi palestinesi prigionieri in Israele e di due tedeschi detenuti con le medesime accuse oltre che tre aerei pronti a partire per Il Cairo.
L’ultimatum venne fissato per il mattino successivo alle 9.00.
Le autorità tedesche riunirono un’unità di crisi, composta dal capo della Polizia di Monaco, Manfred Schreiber, dal Ministro Federale degli Interni, Hans-Dietrich Genscher e dal Ministro degli Interni della Baviera, Bruno Merk che si rivolse al Cancelliere Federale Willy Brandt affinché interpellasse il Primo ministro israeliano Golda Meir, per rendere note le richieste dei terroristi e concordare una strategia comune di uscita dalla crisi.
Golda Meir manifestò immediatamente la ferma posizione del Governo israeliano di rifiuto di qualsiasi concordato o trattativa con i terroristi, offrendo ai tedeschi l’invio di un’unità specializzata della Sayeret Matkal per operare un blitz. L’offerta venne rifiutata dai tedeschi che cercarono, invece, di prendere tempo con il commando terrorista. Ottennero uno spostamento dell’ultimatum alle 17.00 subordinato all’accoglimento della richiesta di trasferimento in aeroporto per proseguire verso la capitale egiziana.
La polizia tedesca organizzò il trasferimento del commando e degli ostaggi su un autobus scortato da mezzi militari sino alle piste dell’aeroporto di Monaco dove vennero imbarcati su due elicotteri per proseguire per la base aerea militare di Furstenfeldbruck e da lì, come richiesto, farli partire per il Cairo.
Alle 22.30 gli elicotteri giunsero alla base militare dove scesero quattro piloti e i sei terroristi che ispezionarono subito l’aereo predisposto per il trasporto in Egitto accorgendosi che era privo di equipaggio.
Era la trappola congegnata dai tedeschi per la cattura del commando.
A quel punto tutta l’area venne illuminata a giorno dai riflettori e gli agenti aprirono il fuoco. Ne seguì una sparatoria di un’ora e, nel mentre, giunsero rinforzi di polizia e mezzi blindati che circondarono l’area.
I terroristi si resero quindi conto dell’impossibilità di portare a termine l’azione e giustiziarono tutti gli ostaggi. I tiratori scelti tedeschi neutralizzarono cinque componenti del commando e ne catturarono altri tre, successivamente rilasciati il 29 ottobre dello stesso anno nell’ambito della trattativa per il dirottamento di un aereo della Lufthansa a Zagabria.
I retroscena
All’indomani della strage, i servizi segreti israeliani chiesero conto di tutta la documentazione investigativa ottenuta dalla Polizia tedesca nella quale erano compresi i rilievi fotografici effettuati sui corpi degli atleti massacrati.
Il fascicolo venne trasmesso alle autorità di Gerusalemme dopo circa un ventennio…
Dopo oltre 40 anni le vedove di due degli 11 atleti israeliani coinvolti nell’attentato hanno rivelato i contenuti di documenti relativi all’azione mai resi pubblici raccontando di avere visionato le foto degli orrori perpetrati dai terroristi di Settembre nero. Le immagini mostrano chiaramente i segni delle torture e dei maltrattamenti subiti dagli ostaggi, uno dei quali fu anche evirato dai “Fedayn”.
Ankie Spitzer e Illna Romano, vollero vedere tutto il materiale e per oltre un ventennio hanno mantenuto il massimo riserbo su quanto avevano visto. «Hanno evirato mio marito, davanti ai suoi compagni – racconta Illna Romano, moglie di Yossef, olimpionico di sollevamento pesi. Ankie Spitzer, moglie di Andre, allenatore di scherma – Era peggio di quanto mi immaginassi». Suo marito tentò di opporsi ai terroristi ma venne ucciso davanti agli altri atleti, ed evirato, non è chiaro se prima o dopo la morte. «Il momento in cui ho visto quelle foto è stato dolorosissimo. Fino a quel giorno mi ricordavo Yossef come un giovane uomo con un grande sorriso. Quel momento ha cancellato tutto quello che ricordavo di lui». A riconoscere il cadavere fu lo zio ma, racconta, gli venne mostrato solo il volto. Altri ostaggi furono picchiati brutalmente, i cadaveri furono ritrovati con le ossa fratturate. «I terroristi hanno sempre sostenuto di non essere entrati in azione per uccidere – dice Ankie Spitzer – ma di volere solo la liberazione dei loro compagni dalle celle in Israele».
Il commando di Settembre nero
Spietati, violenti e disorganizzati ma comunque veri protagonisti nei giorni del sequestro degli atleti israeliani. I miliziani di Settembre nero riuscirono nell’intento di mostrare al mondo tutta la viltà del disprezzo della vita umana e dell’inutilità delle azioni violente contro civili incolpevoli di situazioni politiche delle quali non possono certo essere ritenuti diretti responsabili.
Il gruppo di “prescelti” venne assemblato da Abu Muhammad di Settembre nero, Muhammad Dawud Awda e Salah Khalaf, durante la riunione preparatoria di Roma e generò la nomina di Luttif Afif, noto anche come “Isa”, nato a Nazharet da madre ebrea e padre cristiano, quale capo della missione. Luttif, laureato in ingegneria a Berlino, aveva preso parte alla progettazione e alla successiva realizzazione del villaggio olimpico di Monaco ed era perfettamente a conoscenza della sistemazione delle delegazioni di atleti in ogni edificio, nonché della facilità di accesso alle stesse.
La “squadra” affidata a Luttif comprendeva Yusuf Nazzal, a.k.a. “Tony”, cuoco nel villaggio olimpico, Afif Ahmad Hamid, alias “Paolo, ”Khalid Jawad, a.k.a. “Salah”, Ahmad Shiq Taha, a.k.a.”Abu Halla”, Mohammed Safadi, a.k.a. “Badran”, Adnan al-Gashei, a.k.a. “Denawi” e Jamal al-Gashei, cugino di al-Gashei, a.k.a.“Samir”.
Il commando, entrato in azione nelle prime ore del 5 settembre 1972, riuscì nell’intento preposto solo in virtù dell’incredibile impreparazione delle forze di sicurezza tedesche e di una serie di madornali errori di valutazione del modus operandi dei terroristi, oltre che da quelli strettamente legati alla sfera politica dei quali si macchiarono le massime autorità di Bonn.
I sospetti sull’operato della Germania
All’indomani dei fatti di Monaco, l’esecutivo israeliano venne segretamente riunito nel comitato X, guidato dal Primo ministro Golda Meir e del Ministro della difesa Moshe Dayancon e con la partecipazione di alti ufficiali delle forze armate e dei massimi funzionari di Mossad, Shin Bet e Aman.
A seguito del summit, venne predisposta ed approvata l’operazione denominata “Mivtzah Elohim” con l’obiettivo di individuare ed eliminare tutti i soggetti direttamente o indirettamente collegati alla strage di Monaco. Nessuna cattura, arresto o processo per i terroristi. Una volta individuati, gli obiettivi sarebbero stati neutralizzati e, così facendo, sarebbe stato inviato un chiaro messaggio a tutti coloro che desiderassero colpire nuovamente Israele.
La strage di Monaco segnò una svolta nella guerra contro il terrorismo palestinese. Golda Meir stabilì che era giunto il momento per una vendetta generale non solo fine a se stessa, ma come deterrente a nuove azioni contro lo Stato ebraico e i suoi cittadini.
Alla decisione finale dei partecipanti alla riunione contribuì in modo decisivo la mancata approvazione dell’Onu di una risoluzione che condannasse il massacro di Monaco, nonché la scarcerazione degli unici tre terroristi sopravvissuti all’ operazione. Il 29 ottobre, infatti, un commando palestinese dirottò un volo della Lufthansa che, dopo uno scalo a Zagabria, atterrò a Tripoli dove i terroristi ottennero la liberazione dei tre soggetti coinvolti nella strage di Monaco. Innumerevoli sospetti sono stati sollevati riguardo l’incidente, a causa del fatto che l’apparecchio fosse in realtà quasi completamente vuoto. Da più parti è stato osservato come il Governo tedesco potesse aver organizzato il dirottamento onde evitare l’imbarazzo di dover processare i tre terroristi.
L’Operazione “Mivtzah Elohim” (ira di Dio)
Per l’operazione venne incaricata l’unità del Mossad denominata Kidon (baionetta), guidata da Mike Harari, stanziata presso il dipartimento Metsada (oggi, Komemiute). Kidon era composta da trentasei operativi, divisi in tre squadre da dodici elementi ciascuno. Le unità agivano perseguendo obiettivi e modalità sconosciute, attuando un modus operandi a compartimenti stagni per garantire la completa segretezza dell’operazione.
“Di volta in volta, il Comandante Mike Harari, avrebbe fornito alla squadra incaricata dell’operazione la lista degli obiettivi e tutte le informazioni necessarie per individuare ed eliminare i bersagli, lasciando completa autonomia ai propri uomini e rimuovendo la struttura gerarchica. Ma la genialità di Harari, risiedeva in quella che sarebbe ben presto divenuta la filosofia operativa del Kidon. Il Comandante non desiderava infatti che i terroristi venissero semplicemente eliminati, ma voleva che costoro sperimentassero lo stesso terrore e la stessa sofferenza inflitti agli atleti israeliani ed ai loro familiari. Instillare il terrore nei terroristi sarebbe ben presto divenuta una regola per il Kidon. Ovunque essi si nascondessero, di qualsiasi tipo di copertura costoro godessero, non vi sarebbe stato alcun modo per sfuggire alla caccia che di lì a poco si sarebbe scatenata. L’unica regola cui gli operatori del Kidon sarebbero stati vincolati, era quella dell’identificazione certa del bersaglio, in mancanza della quale l’eliminazione non sarebbe avvenuta”.***
Il Mossad iniziò quindi una vera e propria campagna del terrore rivolta ai soggetti coinvolti a vario titolo nei fatti di Monaco.
La campagna psicologica venne condotta con la pubblicazione di annunci mortuari di soggetti appartenenti al terrorismo palestinese, telefonate dirette a svelare dettagli relativi alla vita privata di ognuno dei target comprese le generalità dei familiari e i domicili. Se l’interlocutore avesse interrotto la comunicazione telefonica, accadeva spesso che un mattone lanciato dall’esterno infrangesse una delle finestre di casa o che “qualcuno” bussasse violentemente alla porta d’ingresso, per poi dileguarsi nel nulla.
Il Mossad, anche grazie alle informazioni ottenute da informatori all’interno dell’ O.L.P. e da servizi segreti amici, individuò trentacinque bersagli, a loro volta suddivisi tra le tre squadre del Kidon. In cima alla lista si trovavano alti ufficiali dell’ O.L.P. quali Ab Iyad (leader di Settembre Nero) ed Ali Hassan Salameh, indicato da Yasser Arafat quale possibile successore alla guida del movimento palestinese. Ad una dei tre team Kidon (operante da Ginevra, in Svizzera) venne fornito un elenco costituito dai seguenti undici nominativi:
Adwan, Kamal – Responsabile per Al Fatah delle operazioni di sabotaggio nei territori occupati ed ufficiale addetto alle informazioni per Settembre Nero; responsabile di diversi attentati contro obiettivi israeliani nel mondo
Al-Chik, Hussein Abad – Contatto con il KGB per l’ O.L.P. del leader terrorista Yasser Arafat a Cipro e capo di Settembre Nero sull’ isola
Al-Kubaisi, Dr. Basil Paoud – Responsabile logistico e dei movimenti di armi ed esplosivi del F.P.L.P.
Boudia, Mohammed – Collegato con il braccio europeo dell’ O.L.P. e direttore della operazioni di Settembre Nero nel continente
Daoud Oudeh, Mohammed (anche noto come Abu Daoud) – Membro dichiarato di Settembre Nero e tra gli ideatori del massacro di Monaco
Haddad, Dr. Wadi – Capo terrorista collegato a George Habash
Hamshiri, Mahmoud – Rappresentante dell’ O.L.P. in Francia e coordinatore per l’ operazione di Monaco
Nasser, Kamal – Portavoce ufficiale dell’ O.L.P. e membro del comitato esecutivo dello stesso
Salameh, Ali Hassan – Detto “Il principe rosso”. Ideatore ed esecutore dell’operazione di Monaco e comandante di Forza 17, guardia personale di Arafat
Yussuf, Abu – Alto ufficiale dell’ O.L.P., terzo al comando di Al Fatah, ufficiale alle operazioni di Settembre Nero e vice di Yasser Arafat
Zwaiter, Wael Aadel – Cugino di Arafat, organizzatore degli atti terroristici dell’ O.L.P. e rappresentante per l’Italia
Senza remore
La campagna di ritorsione ebbe inizio a Roma con l’eliminazione di Wael Zwaiter il 16 ottobre avvenuta nel portone del condominio ove aveva preso in affitto un appartamento. “Sei tu Wael Zwaiter?”, chiese un operativo del team. Alla risposta positiva eliminò il soggetto con diciotto colpi di pistola calibro 22.
La seconda azione venne portata a termine a Parigi al numero 175 di Rue d’Alésia ed ebbe come obiettivo Mahmoud Hamshiri, esponente dell’ O.L.P. e coordinatore del massacro di Monaco. Questi venne contattato telefonicamente da parte di un finto giornalista della stampa italiana per programmare un’intervista telefonica da tenersi l’ 8 dicembre successivo. Il giorno precedente l’intervista gli operatori del Kidon piazzarono una carica esplosiva sotto il mobile sul quale si trovava l’apparecchio telefonico. Quando, il giorno successivo, il terrorista ricevette la telefonata attesa, l’operatore all’altro capo del telefono gli chiese di identificarsi. Una volta ricevuta identificazione positiva, l’esplosivo venne attivato tramite telecomando e Mahshari venne investito in pieno dalla deflagrazione. Morì dopo circa un mese a causa delle ferite riportate.
Nei mesi successivi vennero neutralizzati Basil al-Kubaisi, Hussein Abad Al Chik (saltato in aria grazie ad una bomba piazzata sotto il proprio letto), Zaid Muchassi (leader di Settembre Nero in Grecia, anch’esso fatto a pezzi da una bomba posizionata sotto il letto) e Mohammed Boudia (leader di Settembre Nero in Francia, saltato in aria dopo aver azionato con il proprio peso una mina anti uomo posizionata sotto il sedile della sua automobile). Muchassi, originariamente non sulla lista, venne incluso in qualità di sostituto di Al-Achir quale contatto per l’ O.L.P. con il K.G.B. a Cipro. Ma l’operazione di eliminazione del terrorista rischiò di essere compromessa quando il gruppo di fuoco, in procinto di allontanarsi dalla scena dell’operazione, si trovò dinnanzi l’agente del K.G.B. incaricato di contattare Muchassi. L’ uomo venne ucciso mentre tentava di estrarre la propria arma. Benché la morte dell’agente sovietico non fosse prevista dal piano originale (e rientrasse nella definizione di “danno collaterale” data da Harari), non vi furono, comunque, ripercussioni disciplinari sul gruppo di fuoco.
I tre team di Kidon vennero quindi richiamati in Patria e messi a conoscenza che Adwan, Youssef Al-Najjar e Nasser avrebbero a breve partecipato a una riunione a Beirut con altri leader del terrorismo arabo. Una volta individuata la location del summit, venne approntata una speciale unità, assai eterogenea, comprendente le squadre Kidon, i commandos delle unità Sayeret MAT.KAL., tra i quali figurava Yonathan Nethanyahu, fratello dell’odierno primo ministro e diretti da Ehud Barak futuro premier di Israele, Sayeret T’zanahim, S-13 e della Unit 707 (un’unità speciale della Marina oggi non più attiva). All’operazione venne assegnato il nome di “Spring of Youth”.
Il 10 aprile 1973, nell’oscurità della notte, le squadre sbarcarono sulle spiagge di Beirut e Sidone per infiltrarsi nelle vie cittadine e raggiungere il quartiere musulmano della capitale libanese dove era stanziato il quartier generale dell’Olp, protetto da un imponente schieramento di miliziani armati. Tutti i membri delle squadre d’assalto erano travestiti da turisti occidentali e anche in abiti femminili. Il loro avvicinamento al primo obiettivo designato non destò alcun sospetto nelle guardie poste a vigilanza del complesso, che vennero immediatamente neutralizzate con colpi di pistole munite di silenziatori. Entrati all’interno eliminarono Abu Youssef, uno dei leader di al Fath, Kamal Adwan e Kamal Nasser.
Il secondo target era rappresentato da un palazzo che ospitava numerosi aderenti al Fronte popolare per la liberazione della palestina. Questi vennero eliminati dai commandos del Sayeret Mat.Kal che distrussero completamente l’edificio facendo esplodere le cariche in prossimità dei personaggi segnalati per l’eliminazione. La reazione dei miliziani a guardia del palazzo costò la vita a due militari del commando.
Gli incursori di marina dello Shayetet 13 provvidero all’irruzione di altri obiettivi secondari nei quali rinvennero una copiosa documentazione relativa all’organizzazione terroristica palestinese a Gaza e nella stessa Beirut, che venne acquisita prima di demolire completamente gli edifici.
A seguire, nel giugno del 1973 a Parigi, un’autobomba neutralizzò Mohammad Boudia, un algerino incaricato delle operazioni di Settembre nero in Europa.
Il 28 giugno 1973 fu la volta dell’algerino Mohammad Boudia, direttore della operazioni di Settembre Nero in Europa, eliminato da un’ autobomba a Parigi.
Nel corso dell’operazione, durata sino al 1979, vennero inoltre neutralizzati Adbel Hamid Shibi e Adbel Hadi Nakaa, membri di Settembre Nero saltati in aria con le proprie autovetture nel corso di due distinte operazioni, Adnan Al-Gashey e Mohammed Safady membri del commando di Monaco liberati dal Governo tedesco.
Lilehammer, un tragico e madornale errore
Tra gli obiettivi selezionati nel summit tenuto dal Golda Meir con i vertici militari e di intelligence seguito alla strage di Monaco, figurava Hassan Salameh, capo carismatico delle milizie di al Fath, guardia del corpo prediletta di Yasir Arafat, noto playboy, laureato in ingegneria in Germania e figlio di un ricco uomo di affari già implicato nelle vicende del terrorismo palestinese. Salameh era considerato il principale target dell’operazione poichè, considerato lo spessore del personaggio, erano chiari i suoi coinvolgimenti nella preparazione della strage di Monaco, negli attentati contro cittadini israeliani e, non ultimo, di un’azione terroristica fallita in danno del primo ministro Golda Meir. Una squadra del Kidon pensò di avere individuato Salameh nell’estate del 1973 a Lilehammer, in Norvegia. I tratti somatici e le caratteristiche fisiche dell’uomo coincidevano in tutto e per tutto con l’obiettivo assegnato. Un team di operatori attese l’uomo all’uscita di un cinema mentre si accompagnava ad una ragazza verso un autobus, con il quale giunsero nei pressi dell’abitazione individuata come residenza del soggetto. La squadra eliminò l’uomo a colpi di pistola. In realtà a cadere sotto i colpi del Kidon era un innocente, un cameriere marocchino, Ahmed Bouchiki, completamente estraneo a ogni coinvolgimento nel terrorismo. La polizia norvegese, a seguito delle investigazioni, smascherò l’intera squadra di sei agenti del Kidon che furono arrestati per l’omicidio. Seguì un processo con relativa condanna sino a 5 anni e mezzo, ma tutti vennero successivamente rilasciati dalle autorità di Oslo dopo un anno e mezzo di reclusione. Lo stato di Israele, pur non ammettendo addebiti di sorta, elargì una lauta somma di denaro alla moglie di Bouchiki a titolo di risarcimento per danni inflitti da cittadini israeliani.
Ali Hassan Salameh, il fu principe rosso
Ali Hassan Salameh, detto il Principe Rosso, fu una delle menti della strage delle Olimpiadi di Monaco e il Comandante di Forza 17, la guardia personale di Yasser Arafat. Ma il percorso della caccia a Salameh, per le unità Kidon, era comunque irto di ostacoli, anche mortali.
È il caso di un finto approccio di una fonte informativa a Londra, culminato in un servizio fotografico che coinvolgeva alcuni agenti del Kidon, debitamente consegnato agli stessi come forma di minaccia assai poco velata o l’uccisione di uno di loro ad opera di un’avvenente ragazza olandese, in realtà un sicario assoldato dai palestinesi, a sua volta uccisa per vendetta dal Kidon. Questi eventi contrassegnarono un periodo di profonda crisi negli ambienti del Mossad. Dopo altri numerosi tentativi di eliminare Salameh, all’inizio del 1979, le unità investigative del Mossad riuscirono a individuare il terrorista a Beirut, dove si accompagnava a buona parte dell’entourage dell’Olp. Questa volta gli uomini del Kidon attesero lunghe giornate tenendo sotto stretta sorveglianza Ali Hassan, allo scopo di evitare altri tragici errori di identificazione. Giunto il momento dell’azione, gli incursori della marina israeliana sbarcarono sulla spiaggia di Beirut dove recapitarono esplosivo agli agenti della squadra del Kidon che procederono a occultarlo all’interno di un’autovettura presa a noleggio che venne parcheggiata in Beka Street, presso il palazzo dove risiedeva Salameh. Il 22 gennaio Ali Hassan uscì di casa per salire a bordo della sua Chevrolet per dirigersi a casa della madre, per festeggiare i tre anni della propria nipote. Le guardie del corpo di Salameh erano dislocate sia sulla Chevrolet che su un fuoristrada di scorta. Il convoglio passò a fianco della Volksawagen noleggiata e imbottita di esplosivo il cui detonatore venne azionato dagli agenti del Kidon appostati nelle vicinanze. Salameh, colpito in pieno, venne trasportato presso l’American University Hospital, dove decedette nello stesso giorno.
I sopravvissuti
Sono pochi a essersi salvati dalla vendetta israeliana. Tra questi Jemel Al Gashey, membro del commando di Monaco, a tutt’oggi latitante. Mohammed Daoud Oudeh, uno degli ideatori del massacro, attualmente domiciliato ad Amman, dove vive con la pensione elargita dall’Autorità nazionale palestinese. Daoud, in precedenza individuato dal Mossad, è sopravvissuto ai colpi sparatigli da un agente del Kidon nel 1981 a Varsavia. Nel suo libro autobiografico intitolato “Memorie di un terrorista palestinese” pubblicato nel 1999 in Francia, Daoud ha dichiarato che i fondi per l’operazione di Monaco vennero raccolti da Mahmoud Abbas, Abu Mazen, seppur ufficialmente all’oscuro dello scopo al quale erano stati devoluti.
Mike Harari, il mito del Mossad
Morto a 87 anni nel settembre del 2014 ad Afeka, a nord di Tel Aviv, fu il fondatore dell’unità Kidon e aveva personalmente diretto l’Operazione “Ira di Dio”.
A sedici anni, Harari era già un portaordini dell’Haganah, l’organizzazione paramilitare ebraica che nella Palestina del mandato britannico combatteva gl’inglesi e gli arabi. E quando lo Stato d’Israele non era ancora nato, già organizzava reti coperte di spionaggio a Roma, nell’Est Europa e in Africa. Fu protagonista del blitz di Entebbe nel 1976 dove, fingendosi un uomo di affari italiano, ottenne e fornì ai corpi speciali israeliani le informazioni relative all’aeroporto ugandese permettendo la liberazione di tutti gli ostaggi dopo un blitz seguito al dirottamento su Entebbe di un volo Air France da un commando filopalestinese. Dopo il tragico errore di Lilehammer, Harari presentò una lettera di dimissioni al Primo ministro, ma Golda Meir la stracciò.
La divisione Cesarea, fondata e diretta da Harari fino al 1980, è ancor oggi operativa, nonostante le continue smentite dei vertici politici e della sicurezza di Gerusalemme. È incaricata delle missioni speciali, ovvero degli assassinii mirati, rapimenti e sabotaggi o, se vogliamo, della azioni di guerra non ortodossa.
L’unità Kidon, protagonista dell’operazione “Ira di Dio”, era parte di questa speciale Divisione creata all’inizio degli anni settanta, e inclusa nella Metsada. I bersagli assegnati sono stati in precedenza dichiarati colpevoli da giuristi in seno al Governo dello Stato ebraico. Degne di nota le azioni compiute nel 1988 a Tunisi, dove venne eliminato Abu Jihad, braccio destro di Arafat e pianificatore di diversi attentati contro Israele e quella di Bruxelles del 1990 dove Gerald Bull, uno scienziato canadese ideatore del “Supercannone” destinato all’Iraq, esalò l’ultimo respiro per mano di ignoti.
“Nella maggior parte dei casi non credo che un omicidio possa risolvere la situazione, ma con Settembre Nero non avemmo alternative e funzionò perfettamente. È stato moralmente accettabile? Se ne può discutere. È stato vitale da un punto di vista politico? Senza ombra di dubbio”. Generale Aharon Yariv
Fonti:
***http://corpidelite.net/afm/operazione-mivtzah-elohim-wrath-of-god/
Mossad – le guerre segrete di Israele di Benny Morris e Ian Black, BUR-Rizzoli 2011
Bar Zohar Michael, Eitan Haber, The Quest for The Red Prince: The Israeli Hunt for Ali Hassen Salameh the PLO leader who masterminded the Olympic Games Massacre – Weidenfeld & Nicolson, 1983
A.J. Klein, Striking Back: The 1972 Munich Olympics Massacre and Israel’s Deadly Response, New York, Random House, 2005
Simon Reeve, Un giorno, in settembre. Monaco 1972 un massacro alle Olimpiadi (One day in seprember: The full Story of the 1972 Munich Olympic Massacre and Israeli Revenge Operation “Wrath of God”, New York 2001) – Collana Overlook, Milano, Bompiani, 2002