Rapporto medico-paziente: addio visite lampo. La salute passa attraverso il dialogo. Buona parte della medicina occidentale si focalizza sul corpo, sull’organo, e la malattia spesso assume un linguaggio numerico e di statistiche. Il paziente é visto soggetto passivo limitandolo a essere presente quando serve e a rispettare le prescrizioni che gli vengono date.
Ma i pazienti sono persone tutte intere, non corpi né pezzi di organi affetti da qualcosa. In questo ruolo passivo come automobili portate in officina per essere aggiustate, è facile cadere nello scetticismo verso il sistema salute.
La malattia ha sempre un vissuto personale: emozioni, convinzioni, paragoni con simili situazioni accadute a conoscenti o parenti. Si porta nello studio del dottore – che sia il medico di base o lo specialista – tutto il nostro vissuto, comprese le “nostre certezze”, le paure e il bisogno di rassicurazioni, la nostra personale interpretazione su quello che ci sta accadendo. E dall’altra parte troviamo un medico che di solito è poco o nulla interessato a tutto questo, che spesso ha la fila di pazienti fuori in attesa, che è incalzato dalla fretta, che nemmeno ci guarda in faccia mentre parliamo perché è impegnato a registrare le nostre riposte sul computer.
Rapporto medico-paziente: se imparassero a parlarsi meglio?
Con il termine di medicina narrativa (mutuato dall’inglese narrative medicine) si intende una metodologia clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura
Questa la definizione di medicina narrativa elaborata nel corso del II congresso internazionale ‘Narrative medicine and rare disease’, organizzato dall’Istituto superiore di sanità con il Cnmr (Centro nazionale malattie rare) nel 2014.
La medicina narrativa permette di sviluppare un percorso personalizzato ed in linea con le indicazione dell’evidence based medicine. Inoltre, contribuisce a migliorare l’alleanza terapeutica e la partecipazione del paziente. L’idea di base é che ciascuna interazione tra esseri umani comporti uno scambio di narrazioni. Cos’è quindi una narrazione? E’ il riferire a qualcun altro qualcosa che accaduto mediante un processo cronologico: prima stavo bene, poi ho iniziato a stare male, così mi sono curato e infine sono guarito. Ma anche la “storia clinica” è una narrazione fatta dal medico costruendo una trama partendo delle sue competenze mediche e scientifiche. I fatti narrati nella cartella clinica non sono gli stessi fatti narrati dal paziente, ma non sono più o meno veri di questi. La narrazione del medico, generalmente, si concentra sulle informazioni biomediche. La malattia raccontata dal medico è fatta di organi, di cellule, di atomi e molecole. La narrazione del paziente include anche altri aspetti oltre a quelli biologici, aspetti psicologici, sociali, culturali, esistenziali (talvolta è fatta principalmente di questi), biografici.
Il concetto di medicina narrativa nasce negli anni ’90 grazie a Rachel Naomi Remen e Rita Charon
Tale studio ha avuto come scopo principale quello di sensibilizzare il mondo medico ad utilizzare un approccio narrativo nella relazione con il paziente. La medicina narrativa, quindi, vuol essere un modello empatico in grado di aumentare la capacità del medico di comprendere in modo immediato i pensieri del paziente. Uno dei pregi é l’arricchimento delle cure prescritte attraverso l’utilizzo anche in senso terapeutico dei racconti dei pazienti, dei medici, degli infermieri e di quanti operano nel sistema sanitario, valorizzando in particolare la prospettiva e la visione della malattia del soggetto e dei suoi familiari.
In contrapposizione all’acronimo Ebm (Evidence based medicine) nasce l’acronimo Nbm (Narrative based medicine), dove la narrazione della patologia del paziente al medico è considerata fondamentale al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa.
L’ascolto del racconto di malattia, delle vicende e dell’intero contesto in cui si inserisce, obbliga a ricomporre, a integrare in modo critico e in una visione di insieme, molti particolari elementi che l’analisi tende a scindere. Il paradigma narrativo diventa poi indispensabile quando ci si accosta a chi è affetto da patologie croniche e con vari gradi di disabilità. In questi casi il soggetto e la sua famiglia entrano a pieno titolo come protagonisti e co-autori del percorso di cura.
La cartella clinica parallela
Nella letteratura scientifica esiste una pluralità di strumenti proposti in rapporto a differenti contesti, obiettivi e attori. Non esistono prove che uno strumento sia migliore dell’altro. La cartella parallela, ad esempio, è uno strumento sviluppato alla Columbia University dalla dottoressa Rita Caron che incoraggia gli operatori sanitari a scrivere in un linguaggio non tecnico l’esperienza del paziente e i propri vissuti rispetto all’esperienza di cura. La cartella parallela si affianca alla classica cartella clinica, senza sostituirla ma completandola con tutte le informazioni che non hanno spazio nella cartella clinica. Si é avuto modo di dimostrare come l’utilizzo della cartella parallela contribuisca a migliorare la capacità di condurre i colloqui clinici e la raccolta dell’anamnesi, applicando le procedure e le linee guida mediche e sviluppare un’alleanza terapeutica con e per il paziente.
Rapporto medico-paziente: i dati degli studi americani
Negli Stati Uniti, l’ U.S. Department of Health & Human Services, publica annualmente delle importanti statistiche inerenti le risposte fornite da migliaia di pazienti circa le loro esperienze, nel corso del relativo anno, non solo dal punto di vista qualitativo del servizio medico ma anche la valutazione del tipo di approccio adottato per la cura dell’affezione. I dati statistici acquisiti dal 2002 mostrano delle significative percentuali di soddisfazione non solo per la corretta diagnosi ma l’aumento dell’empatia tra paziente e medico favorendone il dialogo
I dati mostrano come circa il 65% degli intervistati confermano come le iniziali distanze comunicative e la classica posizione sbilanciata medico-paziente si sia ridotta grazie a situazioni confortevoli per un dialogo privo di ostacoli comportamentali. La condivisone dei sintomi con l’esposizione cronologica ha favorito nel 75% dei casi anche superflue indagini diagnostiche favorendo direttamente anche il servizio pubblico riducendone costi e liste di attese. Significativi sono anche i dati inerenti a trattamenti attigui alle cure mediche propedeutici ad una narrazione rilassata come ad esempio lo yoga (5%), chiropatrica (7%), esercizi respiratori (12%).
Questi studi attestano che le remore nell’esporre dettagliatamente lo stato di salute principalmente dovuto da comprensibili stati di animo ricadono nella formulazione della diagnosi. E dunque, non é bravo solo quel medico che prescriverà la corretta cura ma anche colui che riuscirà ad instaurare un rapporto empatico offrendo ambientazione e tranquillità per la narrazione medica.