“Prima di tutto dovremmo avere la possibilità di usufruire del testamento biologico, della autodeterminazione scritta e decisa nel pieno delle attività mentali. Così come è stato realizzato per la donazione degli organi, dovrebbe essere realizzato per l’autodeterminazione nel caso di gravissime patologie o traumi con irreversibilità dello stato di coscienza”. A dichiararlo a Ofcs Report, dopo i recenti casi di cronaca, il professore Pietro Marano, direttore del Raggruppamento di Neurologia e Neuroriabilitazione della Nuova Casa di Cura D’Anna di Palermo, che per molti anni ha fatto parte del Comitato Bioetico della società italiana di neurologia collaborando con il caso di Eluana Englaro.
Quando si parla di cure di fine vita cosa s’intende?
“Riconoscere che il paziente sta morendo comporta un cambio di rotta nella presa in carico a cui seguono nuovi obiettivi ed un nuovo piano di cura personalizzato. Il sollievo dei sintomi negli ultimi giorni di vita deve essere prioritario. In questi casi cosa è utile far sospendere tutti i farmaci non necessari al controllo dei sintomi della fase terminale, assicurarsi che siano prescritte delle riserve per i sintomi più comuni quale il dolore, valutare la via di somministrazione più comoda e utile, rivalutare frequentemente e con regolarità il paziente, discutere e prendere posizione sull’idratazione e nutrizione, non eseguire indagini diagnostiche inutili e ridurre i controlli a quelli strettamente necessari, prendersi cura dei familiari, confrontarsi frequentemente con loro, spiegando tutte le scelte terapeutiche, è importante spiegare il perché del nostro agire alla famiglia per evitare che “il non fare” venga interpretato come un abbandono terapeutico”.
Che tipo di farmaci viene somministrato ad un paziente nel momento in cui decide di morire?
“Dipende se nel caso di suicidio assistito come quello tristemente noto. In questo caso viene “autosomministrato” il pentobarbitale sodico. Normalmente viene bevuto ma, nel caso di impossibilità motoria, può essere iniettato o somministrato per sondino naso gastrico, ma tutto ciò deve avvenire in maniera autonoma. Nel caso invece di sedazione terminale il discorso cambia radicalmente. Si aiuta semplicemente il paziente, nel caso di patologia gravissima e in stadio terminale, al trapasso mediante la somministrazione di terapia antalgica e anestetica”.
Il tipo di farmaco che viene utilizzato può variare da persona a persona?
“Prima di tutto dovremmo avere la possibilità di usufruire del testamento biologico, della autodeterminazione scritta e decisa nel pieno delle attività mentali. Così come è stato realizzato per la donazione degli organi, dovrebbe essere realizzato per l’autodeterminazione nel caso di gravissime patologie o traumi con irreversibilità dello stato di coscienza.
Avere una legge flessibile, snella e facile da applicare senza troppe interpretazioni farraginose, significa evitare una serie infinita di sofferenze inutili, perdite di tempo e fraintendimenti da parte di operatori, pazienti e familiari”.
Per un medico quale è la differenza sostanziale tra eutanasia e testamento biologico? Secondo lei in quanti dottori in medicina in Italia sono d’accordo con una o l’altra?
“La differenza è sicuramente abissale. Nel testamento biologico c’è il rispetto della volontà individuale del paziente. L’eutanasia rispetta, si la volontà del paziente, ma non predecisa in buona salute.
Penso che in campo medico succederà il medesimo caos che succede in ambito di obiezione di coscienza in caso di aborto. Nel corso di laurea in Medicina oggi vi è una profonda impreparazione in ambito bioetico. Non esiste un preciso insegnamento, se non solo in alcuni dei corsi di laurea italiani e quelli esistenti sono a senso unico, dove si insegna un punto di vista unilaterale e non globale. Nel caso in cui l’Italia dovesse varare una legge sull’autodeterminazione, prevedo una immensa confusione nella sua applicazione”.
In questo momento la cronaca ha ripreso a parlare di eutanasia grazie anche al ragazzo, conosciuto come Dj Fabo, che a seguito di un grave incidente stradale è rimasto cieco e tetraplegico e che alcuni giorni fa è andato in Svizzera per spirare. Lei ha seguito da vicino l’altrettanto famoso e importante caso di Eluana Englaro. Secondo lei che differenza c’è tra i due casi?
“E’ una questione di autodeterminazione, dove Dj Fabo ha potuto esprimere volontariamente la propria decisione e altrettanto volontariamente far partire lo stantuffo della pompa che ha iniettato la miscela letale. Nel caso di Eluana Englaro il caso è stato maggiormente strumentalizzato non solo dai media ma anche e soprattutto dalla politica che ha innescato i media. Lì c’era un papà, tutore legale, che esprimeva le volontà della figlia. Chi più di un padre o una madre può interpretare le volontà di un figlio? Ed una volta che un Tribunale ha investito un genitore della tutela di un figlio, questo a tutti gli effetti ha il preciso dovere di sostituirsi al figlio ed interpretarne ogni decisione, nel bene e/o nel male, ammesso che questa decisione sia il male. L’autodeterminazione è scattata in tutti e due i casi, solo che nel primo l’opinione pubblica ha gridato meno allo scandalo perchè il soggetto era in grado di intendere e volere, mentre nel secondo caso un padre si è sostituito alla figlia strappandola ad una vita senza coscienza e mantenuta da terzi”.
Sono molti in Italia che versano nelle medesime condizioni di Dj Fabo e che fanno richiesta a cliniche in Svizzera o Olanda per morire, l’alternativa alla morte in Italia quale sarebbe?
“L’ho già anticipato poco fa, una legge sull’autodeterminazione, ma non solo di vita o di morte, anche di cure nei casi di malattia grave o di trauma grave che sia senza troppi giri di parole, molto diretta e poco ipocrita, soprattutto però che non possa contenere alcun tipo di interpretazione o bianco o nero”.