Timbri, veline, manine. Si gioca a palla avvelenata sulla lista dei presunti filo putiniani d’Italia. La polemica sulla lista continua con la caccia alla ‘mano solerte’ che ha passato il documento al Corriere della Sera. A Palazzo Chigi sarebbero nervosi. Al Dipartimento per le informazioni sulla sicurezza (Dis) pure. La manina sarebbe politica e l’intelligence non ci sta a beccarsi (per l’ennesima volta) il fango in faccia per coprirne i misfatti.
E la conferenza stampa di Franco Gabrielli, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, avrebbe creato qualche malumore interno ai servizi segreti. Che è vero, fanno i loro errori, ma è sempre su input della politica che si muovono in tutti gli ambiti.
Una vecchia storia quella di scaricare sul comparto sicurezza gli errori di una classe dirigente spesso pasticciona attenta solo ai propri interessi. Molti (tutti) gli addetti ai lavori ricordano la storia di Abu Omar, ad esempio. Per il rapimento dell’imam finirono alla sbarra pezzi importanti dei servizi segreti poi assolti. Ma ciò che rimane è il segreto di stato apposto su quella vicenda che ancora impedisce di sapere chi ha autorizzato veramente l’operazione. Ma la colpa fu interamente scaricata sull’intelligence che, ripetiamo, non è un gruppo di educande votate alla castità. Al suo interno “ci sono persone di cui volentieri faremmo a meno ma tantissime che fanno il loro dovere”, ha sottolineato Gabrielli. E in generale, l’intelligence fa il suo lavoro, su input della politica. Un lavoro che a volte può anche essere “sporco”, ma che spesso ha tenuto al riparo i sacri posteriori di molta gente. Altre volte decisamente meno, ma nessuno è perfetto. Nemmeno quelli che pontificano su ciò che è giusto o sbagliato e che si impegnano per la diffusione massima del pensiero unico.
Anche in questo caso, dunque, la richiesta di stilare un bollettino con il monitoraggio sulla disinformazione è arrivato dalla politica. E qualcuno poi, evidentemente, ha usato il documento come meglio ha creduto. Anche spifferandolo alla stampa.
L’imbarazzo di Palazzo Chigi, dunque, sarebbe proprio in questo passaggio. Perché “il Bollettino, come già anticipato, compendia l’attività di uno specifico tavolo creato nel 2019, coordinato dal Dis e al quale partecipano, oltre ad Aise e Aisi, l’ufficio del consigliere militare del presidente del Consiglio, il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, i ministeri dell’Interno e della Difesa. Di recente è stato esteso al Dipartimento dell’informazione e dell’editoria della presidenza del Consiglio dei ministri, al Mise, all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e all’Agcom”, ha chiarito Gabrielli in conferenza stampa. Un tavolo affollato, dunque, che di intelligence ha ben poco. Mancano solo i giurati del Festival di Sanremo e il voto da casa.
Ma il bollettino portava il timbro dei servizi segreti e tanto è bastato per creare il caos (legittimo) sulla schedatura delle persone in base alle opinioni espresse sulla guerra.
A ben vedere però, la schedatura è più utile a qualche partito che all’intelligence. Soprattutto se il bollettino è compilato usando fonti aperte. E quindi internet, i social, tv e giornali. Nulla di segreto, dunque, nessuna attività eversiva o di minaccia per la sicurezza nazionale. Del resto, quando attraverso i social e il web in generale, sono stati individuati soggetti potenzialmente pericolosi sono finiti sotto indagine e anche arrestati, come nel caso di personaggi legati al terrorismo di matrice islamista.
E allora cos’è la lista di presunti filo putiniani diffusa dal Corriere della Sera? Prove tecniche di regime per vedere l’effetto che fa?