Avevano percorso le strade di Raqqa mascherati, pesantemente armati, ebbri di vittorie, a bordo dei pick up adornati con le bandiere nere. Sembra lontano per loro il ricordo del gennaio 2014, quando i miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi erano entrati nella città a nord della Siria dopo aspri combattimenti con le forze regolari di Assad.
L’Isis aveva instaurato il proprio quartier generale in questa città, rivestendola del titolo di capitale del Califfato, così come avvenne durante il periodo, dal 796 all’809, quando Harun al Rashid, quinto califfo della dinastia abbaside, volle ergere la città a baluardo contro i bizantini e farne una base di partenza dalla quale condurre gli attacchi contro l’esercito cristiano. Ma la storia si ripete e, così come l’esercito del califfo al-Rashid, anche quello di al-Baghdadi si è liquefatto sotto i colpi dell’alleanza anti-Daesh a guida occidentale.
Alle loro spalle lasciano una città completamente devastata e poche centinaia di foreign fighters con le loro famiglie, che non hanno potuto lasciare le barricate poiché non concesso dal comitato delle forze siriane democratiche.
Feriti, affamati, sporchi, gli ex occupanti di al-Raqqa, i dispensatori di fatawas, gli sgozzatori di infedeli si presentano così. Un insieme di derelitti spauriti con gli sguardi di chi teme di vedere scoperti i propri crimini, i propri delitti, i propri abusi.
Al Arabiya ha pubblicato le foto di alcuni di loro: “Questi sono i miliziani Isis costretti a lasciare la città di Raqqa in Siria”. Secondo il sito dell’emittente televisiva degli Emirati Arabi Uniti, domenica sono emersi filmati e immagini che mostrano alcuni militanti dell’Isis mentre si consegnano alle forze democratiche siriane sostenute dagli Stati Uniti.