Undici coltellate per pochi grammi di droga fanno due ergastoli. Il conto è presto fatto.
Uno ciascuno, per i due americani che nella notte del 26 luglio di due anni fa a Roma ferirono a morte il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. È quanto deciso dalla Prima Corte d’Assise di Roma in relazione all’omicidio del militare dopo oltre tredici ore di camera di consiglio.
Un’attesa lunghissima, il verdetto arrivato a tarda sera.
Il massimo della pena per Finnegan Lee Elder e Christian Natale Hjorth.
Un processo iniziato a febbraio dello scorso anno
Cinquanta udienze, alcune anche durante il primo lockdown. “Un processo lungo e doloroso. Questo non mi riporterà Mario. Ma oggi è stata messa la prima pietra per una giustizia nuova. È stata dimostrata l’integrità di Mario, nonostante da morto abbia dovuto subire tante insinuazioni”. Così Rosa Maria Esilio, la giovane vedova di Cerciello, ha commentato in lacrime la sentenza.
La vicenda di quella sera di due estati fa è nota.
I due americani, in cerca di droga a Trastevere, avevano rubato lo zaino del “facilitatore” dei pusher, Sergio Brugiatelli. Poi la “trattativa” per la restituzione della borsa. Lì l’intervento del vicebrigadiere Cerciello e del collega Andrea Varriale, culminato con le undici coltellate inferte da Elder a Cerciello.
I legali dei due americani promettono il ricorso in Appello
È un loro diritto. Ma a poche ore da questa sentenza di condanna possiamo dire che giustizia è stata fatta.
Trucidare un uomo, un tutore dell’ordine per un po’ di cocaina. La droga più importante di una vita umana.
Sì, giustizia è stata fatta. E ci auguriamo che in cella non si ripeta ora la processione delle anime belle, come avvenne due anni fa con l’indegna visita ai due americani dell’ex sottosegretario, Ivan Scalfarotto, che fece indignare più di mezza Italia.
Uno schiaffo al nostro Paese, uno schiaffo ai caduti.
Sì ai caduti, e ai loro colleghi in armi, uomini e donne, che non hanno voglia di esultare per questa sentenza pur riconoscendo che c’è stata giustizia.
“Oggi siamo tristi. Avrei preferito che il collega Mario Cerciello Rega fosse ancora vivo. E non gioisco per questo verdetto anche perché, seppur due delinquenti da strapazzo, i condannati sono pur sempre due ragazzi poco più che maggiorenni. In pochi minuti si sono spezzate tre vite e tre famiglie. Adesso la giustizia ha punito, giustamente, i colpevoli. Ma la riflessione deve essere più ampia perché nella società odierna basta poco per accadimenti del genere. Bisogna dunque interrogarsi e trovare soluzioni affinché il rispetto per il prossimo ritorni ad essere un valore fondante della vita comune”. Così Antonio Tarallo, segretario generale dell’Unione sindacale italiana carabinieri.
E il segretario dell’Usic ha riassunto benissimo la tragedia in poche righe.
Una vita spezzata.
Due esistenze rovinate.
Tre famiglie distrutte.
Tutto per pochi grammi di droga.
Di maledetta droga.
Di quella roba che ti spappola il cervello.
E che ti fa sferrare una, due, fino ad undici coltellate su un uomo, senza pietà, pur di averla.
Ma in Parlamento ancora c’è chi si agita e ne chiede la legalizzazione.
Che poi sono gli stessi che vanno a trovare in carcere gli assassini.