La situazione in Libia si evolve e all’orizzonte si percepisce il concreto rischio che Tripoli possa rappresentare il teatro di un nuovo ed allargato conflitto bellico. É anche vero che il paese Nordafricano vive, seppur precariamente, di equilibri regionali e potrà giovare mantenerli tanto ad al Sarraj quanto ad Haftar e ai reciproci schieramenti a supporto. E mentre la Turchia sponsorizza vigorosamente al Sarraj, l’Italia rimane debole e fin troppo assorta nella altrettanto velleitaria politica interna.
Non vi è alcun dubbio che il Governo italiano abbia clamorosamente sottostimato il dossier libico al punto tale da “perdersi” tanto l’avvio delle operazioni di assalto a Tripoli da parte di Haftar, invero risalente allo scorso aprile, quanto l’intesa tra al Sarraj e Erdogan.
Eppure al Sarraj ha chiesto espressamente aiuto all’Italia senza ricevere alcun riscontro. Anche qui, la solita “passerella natalizia”.
Pare che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, abbia sentito al telefono il suo collega russo, Sergey Lavrov in ordine al dossier libico ed ai prossimi step da intraprendere nella prospettiva della conferenza di Berlino. Di Maio ha poi sentito il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per valutare una soluzione diplomatica alla delicata situazione libica. Tuttavia, la diplomazia del nostro Ministro appare timida e poco efficace, mentre il presidente turco Tayyip Recep Erdogan, continua incessantemente a muovere il suo scacchiere di alleanze, anche con il collega tunisino Kais Saied, al fine di contenere l’avanzata minacciata da Haftar.
In tale scenario, quello che è ancora più grave è che l’Italia ha forse trascurato che ben 300 nostri militari sono presenti in Libia. Ebbene sì, la grave trascuratezza della politica estera italiana rischia anche di compromettere una delicatissima attività che, per evidente prossimità geografica e strategico interesse geo-politico nell’area mediterranea, vede il nostro paese fortemente coinvolto.
Non è un mistero, infatti, che il movimento salafita jihadista negli ultimi mesi si è molto rafforzato nel continente africano, con nuove formazioni jihadiste armate che hanno fatto della penisola del Sinai una delle loro roccaforti e che via via si sono anche posizionate e ben radicate nella zona subsahariana del Sahel con un’area di azione che ha insidiosi collegamenti con la regione del Grande Sahara dove è forte la presenza dello Stato Islamico. Forze jihadiste sono molto attive anche in Libia che, evidentemente, costituisce uno dei principali epicentri in costante collegamento con il movimento salafita del Sahel e del corno d’Africa. Il radicalismo jihadista salafita continua progressivamente a consolidarsi, invero favorito da condizioni propizie costituite da conflitti etnici e religiosi, estrema povertà e scarsa cultura.
Ora, malgrado la recente uccisione per mano americana del leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi, lo Stato islamico è molto attivo in Africa e la cronaca ne avvalora la metodologia di azione che si caratterizza per il supporto alle fazioni insurrezionaliste, approfittando dei conflitti etnici e religiosi, nonché della scarsa legittimazione del potere politico istituzionale. Ne è prova anche il massiccio reclutamento che avviene proprio dalle regioni maggiormente martoriate dalla conflittualità etnica e politica, ovvero dal Mali settentrionale e dalla Nigeria. L’affiliazione dello Stato Islamico del Gran Sahara all’Isis, malgrado quella precedente verso Al Qaeda, è valsa anche il riconoscimento di organizzazione terroristica straniera da parte dei nostri alleati Americani.
Appare evidente come l’incuranza e, peggio, la miope azione del nostro Governo sul dossier libico, rischia di provocare una detonazione dagli effetti ancora più devastanti.
Non va trascurato, infatti, che l’avanzata Russa e degli Emirati a supporto dell’uomo forte della Cirenaica ed il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, determinano le condizioni per una vulnerabilità al potere che potrà essere ben sfruttata dal fronte russo-cinese, attraverso gli accordi di cooperazione già in essere proprio in Mali e Burkina Faso e le importanti commesse cinesi per la fornitura di armamenti.