La disfatta dell’Occidente in Afghanistan trae origine dalla volontà americana di esportare la democrazia a tutti i costi, anche dove non esplicitamente richiesta e laddove i reali interessi di una presenza occidentale, a scanso di falsi motivi pseudo umanitari, sono più che ben compresi.
Sul rovescio clamoroso degli Usa pesa ancor più la totale mancanza di consapevolezza di confrontarsi con popoli dalla mentalità anacronistica, in ritardo di 600 anni sul processo evolutivo in atto.
Ad ogni buon conto ci troviamo a dover ri-fare i conti con i Talebani che nei 20 anni di “governo democratico” hanno fatto buon uso della Taqqiya, la tattica della dissimulazione, fingendo di accettare i compromessi, colpendo sporadicamente nel mucchio ma, essenzialmente, rimanendo pazientemente arroccati sulle montagne in attesa che il momento propizio si presentasse ai loro occhi.
Il resto lo hanno fatto l’arroganza americana e la corruzione imperante nei ranghi delle truppe afghane.
A fronte dei finanziamenti elargiti a piene mani dagli americani, su espressa richiesta del governo afghano, per il reclutamento di centinaia di battaglioni di militari pienamente addestrati, la realtà è stata sconcertante. Solo il 20% dei reparti in via di costituzione sono stati effettivamente reclutati e addestrati con i soldi degli Usa, il restante 80% era una “velina” fatta trasparire agli ebeti dell’amministrazione Usa per ottenere i finanziamenti devoluti successivamente a soliti noti.
Prova tangibile ne è lo scioglimento, come neve al sole, dello pseudo esercito afghano che, nella precipitosa fuga, ha fatto dono ai barbuti jihadisti in avanzata di centinaia di depositi di armi e munizioni e di buona parte dei mezzi, anche corazzati, forniti dagli Usa.
Il resto è la cronaca di 24 ore da incubo per gli afghani, gli Usa e tutto l’Occidente.
Una fuga ignominiosa, davanti al nemico a fronte della quale Caporetto appare come una passeggiata.
L’aeroporto di Kabul preso d’assalto dai civili locali (dove si segnalano anche morti tra i civili), per scampare alla incombente catastrofe umanitaria, elicotteri da trasporto stracarichi di impiegati delle ambasciate occidentali affetti da crisi cardiache, il governo afghano che cede il potere ai talebani e fugge dal paese.
Dalla parte dei jihadisti arrivano proclami di vittoria, dal punto di vista militare assai meritata, che si accompagnano a minacce già risuonate: “La legge islamica verrà non solo Afghanistan, ma in tutto il mondo. La nostra Jihad non finirà fino a quel giorno”.
Già, perchè a nessuno dovrebbe sfuggire la reale portata della vittoria dei Talebani. E stiamo parlando del nuovo lungo periodo di terrore per l’Occidente che si prospetta all’orizzonte.
I vittoriosi talebani riprenderanno le loro attività di esportazione dell’oppio ottenendo lauti introiti per la ricostruzione dei campi di addestramento, il reclutamento di nuove leve e una decisa ripresa dell’attività terroristica. Un film già visto.
Ripercorrendo brevemente gli eventi, infatti, dovremmo ricordare che il soprannome “talebani” (studenti di teologia) è stato coniato dall’Occidente e nulla a che fare con i jihadisti barbuti che imperversano nel Paese asiatico e non solo.
Tutti, altresì, ricordiamo i mujaheddin, tanto glorificati quando sconfissero l’Armata rossa quanto demonizzati quando sotto il comando di Bin Laden prendevano a calci in culo le “coalizioni di pace” in tutto il globo, a cominciare dalla Somalia nel 1993.
E sì, perché i mujaheddin afghani, non sono solo afghani.
Al Qaeda, reale entità protagonista della vittoria contro i sovietici, è una realtà eterogenea composta da jihadisti volontari provenienti da tutti i continenti, addestrati nei campi afghani e inviati in missione per il “trionfo dell’islam”.
La disfatta occidentale, oltretutto, riaprirà i rubinetti di un’immigrazione di massa con i rischi legati a infiltrazioni terroristiche nei flussi diretti verso l’Europa.
E, secondo voci di corridoio, sarebbero già iniziati i colloqui informali con altre realtà jihadiste in chiave di future alleanze nel nome di un nemico comune. Da Hamas allo Stato islamico sono numerose le sigle che appoggiano o appoggeranno i Talebani ritenendoli un alleato irrinunciabile data la loro posizione preminente e, soprattutto, la disponibilità di un immenso territorio dove ospitare la logistica dei gruppi affini.
Insomma, un bel lavoretto tutto a stelle e strisce fornito dalla cornice dell’insipienza dell’intelligence americana unita all’inconsistenza di una posizione comune degli alleati.
Per il futuro, è consigliabile un approccio molto meno improntato a democrazia e diritti, in considerazione del fatto che il nemico che minaccia la nostra esistenza non conosce il significato di questi termini e trae beneficio dalla nostra insistenza nel proporre un modello di vita che non è loro e dalla nostra paura di affrontare un avversario determinato e mosso da ideali a noi ormai sconosciuti da tempo.
E per il futuro, consigliamo di inviare a Kabul, come forze di pace, gli ebeti dalle bandiere arcobaleno, quelli dei “diritti per tutti”, le femministe incazzate e gli altri menestrelli, con la promessa che nessun riscatto verrà pagato. Magari vincono loro.