La prospettiva di un attacco statunitense ai sito nucleare di Fordow in Iran é un’opzione ancora in campo. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, Donald Trump ha già approvato piani operativi per colpire i siti nucleari iraniani, ma una decisione definitiva è attesa entro due settimane. In una intervista alla CBC, il professor Assaf Moghadam, docente presso la Reichman University e Senior researcher dell’Istituto Internazionale per il Contrasto al Terrorismo di Herzliya, ha spiegato: “Penso che, a questo punto, tutto dipenda da una sola persona: il presidente Donald Trump. La prima cosa da ricordare è che gli interessi degli Stati Uniti e di Israele, per quanto riguarda l’Iran e il programma nucleare, sono realmente allineati. L’obiettivo comune è impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari. In questo senso, tutti sono sulla stessa lunghezza d’onda”. Le parole di Moghadam fotografano un momento decisivo: dopo una settimana di attacchi mirati da parte di Israele contro obiettivi strategici in Iran, tra cui il reattore ad acqua pesante di Arak, il presidente americano potrebbe ora decidere di passare all’azione. “Il fatto che gli Stati Uniti abbiano accumulato una massiccia presenza militare – incluso, di recente, un terzo gruppo d’attacco di portaerei, aerei da rifornimento, bombardieri strategici – indica una maggiore probabilità di un coinvolgimento diretto. Credo che, nel fare la sua analisi costi-benefici, Trump stia valutando sia le opportunità sia i rischi. Tra i rischi, probabilmente Trump è preoccupato che un attacco al sito di Fordow possa non riuscire e vuole assicurarsi che l’operazione sia efficace. È ovviamente preoccupato per le basi e le truppe americane nella regione e vuole limitare i danni, se ci saranno. Ma sul lato delle opportunità, oltre al fatto che condivide la convinzione israeliana che un’arma nucleare iraniana vada impedita, credo che desideri anche passare alla storia come il presidente che ha fermato l’Iran”.
Il nodo Fordow
Il sito nucleare sotterraneo di Fordow, scavato nella roccia a decine di metri di profondità, è uno dei bersagli principali delle forze israeliane. La sua distruzione, però, richiederebbe capacità militari avanzate. “Gli israeliani pensano comunque di poter affrontare il problema anche da soli. È vero però che, per una campagna aerea, servirebbe l’intervento americano, perché solo il bombardiere B-2 – con le bombe penetranti che può trasportare – ha la capacità di distruggere Fordow, che si trova circa 90 metri sotto una montagna. Detto questo, Israele ha già dimostrato di saper condurre operazioni molto complesse, anche di recente in Siria. Certo, preferirebbero che fossero gli americani a colpire Fordow, ma in mancanza di ciò, sono convinti di potercela fare da soli, anche se con molti più rischi. Dubito che Israele interromperà la sua campagna contro l’Iran prima di aver neutralizzato Fordow”.
L’Iran si avvicina alla bomba nucleare?
Secondo Moghadam, le valutazioni dell’intelligence israeliana sullo stato del programma nucleare iraniano sono da prendere seriamente. “Ci sono valutazioni differenti su questo. Gli israeliani, nel tentativo di coinvolgere gli americani sostengono, sulla base di un interesse costante e duraturo nel monitorare questa questione, che l’Iran si stia avvicinando alla bomba. Negli ultimi due anni, l’Iran ha perso molti dei suoi proxy: la strategia iraniana si basava sull’accerchiamento di Israele con forze per procura in Siria, Yemen, Hamas. Ora ha perso questa capacità e ha meno leve di pressione. Per questo è ragionevole pensare che si stia avvicinando allo sviluppo dell’arma nucleare. Certo, molti dubitano delle valutazioni israeliane, pensando siano politicizzate. Ma ritengo che l’intelligence israeliana, specialmente nell’ultima settimana, abbia dimostrato grande competenza. Se dovessi scegliere, mi fiderei molto di più dell’intelligence israeliana che di altri servizi meno competenti e meno coinvolti su questa tematica”.
L’Iran senza più opzioni
A livello militare, la Repubblica islamica appare sempre più indebolita. Secondo fonti militari, l’Iran ha praticamente esaurito le scorte di vettori e anche le testate convenzionali stanno diminuendo grazie agli incessanti bombardamenti mirati dell’IAF. Non dispone più di jet da combattimento operativi. Come già scritto su OFCS, l’unica opzione rimanente potrebbe essere il ricorso a testate con componenti chimiche o batteriologiche, ma anche questa strada è ad altissimo rischio. Il vero problema, infatti, è che in caso di intercettazione i carichi tossici verrebbero dispersi sul territorio iraniano o iracheno, con conseguenze catastrofiche per la popolazione inerme e per lo stesso regime di Teheran.
Rischio escalation: Hormuz e le basi USA
Le reazioni iraniane agli attacchi israeliani sono state immediate. I Pasdaran hanno nuovamente minacciato la chiusura dello Stretto di Hormuz, passaggio marittimo strategico per il 30% del petrolio mondiale. Secondo Moghadam, “i rischi ci sono. Gli iraniani sono noti per le loro minacce contro i rivali. Spesso queste minacce si sono rivelate vuote, ma in questo caso – con l’Iran messo alle strette – vanno prese più sul serio. C’è un rischio reale che l’Iran possa attaccare le basi americane, come quelle in Qatar e Bahrain. Un altro rischio è che l’Iran decida di bloccare lo Stretto di Hormuz. Oggi, credo, gli alleati Houthi dell’Iran hanno parlato di questa possibilità. Ma il problema per Teheran è che ogni passo di questo tipo avrebbe conseguenze molto negative e durature. Qualsiasi attacco a soldati americani o tentativo di danneggiare l’economia globale porterebbe a una reazione molto più dura degli Stati Uniti. Insomma, dal mio punto di vista, l’Iran non ha buone opzioni a disposizione in questo momento”.
Isolamento strategico: Pechino e Mosca tacciono
La posizione dell’Iran è resa ancor più fragile dal disimpegno dei suoi partner principali. Secondo un’analisi del New York Times, la Cina non è disposta a difendere militarmente Teheran. Xi Jinping ha chiesto una tregua, ha evacuato i cittadini cinesi dalla regione, ma ha evitato qualsiasi presa di posizione diretta contro Israele o gli Stati Uniti. Resta sospesa l’ultimazione della rete ferroviaria che collega la Cina all’Iran, soggetta, come tutti gli itinerari terrestri a bombardamenti israeliani. Ma con l’attuazione di quanto in ipotesi, i materiali cinesi potrebbero raggiungere l’ Iran via terra, aggirando qualsiasi altra zona di influenza. Con questo escamotage l’Iran non solo riceverebbe rifornimenti in questo momento fondamentali, ma potrebbe acquisire un ruolo di hub di transito chiave che collegherebbe il corridoio Nord-Sud attraverso Russia, Mar Caspio e India, oltre che l’accesso terrestre all’Iraq, alla Siria, alla Turchia e al Mediterraneo, di fatto bypassando il Canale di Suez e lo stesso Stretto di Hormuz, assoggettato ai controlli dalle Forze navali USS e EU. Questa rimane comunque un’ipotesi remota in considerazione dell’attuale assetto militare iraniano. Anche la Russia, pur beneficiando del supporto militare iraniano in Ucraina, si è limitata a parole di circostanza. Gli analisti parlano apertamente del crollo dell’“Asse del Caos”, l’alleanza informale tra Iran, Cina, Russia e Corea del Nord, di fronte a crisi reali. “I leader mediorientali non chiamano la Cina per cercare soluzioni – ha detto l‘ex diplomatica americana Barbara Leaf – perché sanno che Pechino si muove solo per proteggere i propri interessi economici”.
Il conto alla rovescia è iniziato
Nel frattempo, Israele non si ferma. Oggi, 20 giugno, le Forze di Difesa Israeliane hanno annunciato di aver distrutto oltre 35 siti missilistici in Iran, tra le regioni di Tabriz e Kermanshah. Più di 40 aerei hanno preso parte all’operazione. Donald Trump ha i piani sul tavolo. L’Iran ha finito le sue mosse. E mentre l’orologio corre verso la decisione finale, le parole di Assaf Moghadam pronunciate alla CBC suonano come un avvertimento lucido e asciutto: “Tutto dipende da una sola persona: il presidente Donald Trump”.
Nel frattempo il Premier Netanyahu annuncia che Israele è pronto a fermare il programma nucleare iraniano anche senza il supporto di Trump. L’obiettivo resta quello di neutralizzare la minaccia atomica e missilistica. Si intravede un possibile attacco alla base di Fordow nelle prossime 72 ore. Resta in sospeso l’esito del bombardamento effettuato nella serata di ieri dall’IAF a Lavizan, un sobborgo collinare di Teheran dove è stato individuato un bunker sotterraneo identificato come uno dei target dove Khamenei avrebbe trovato rifugio.